Hijra: la migrazione del Profeta (SAW) dalla Mecca alla Medina
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Set 05, 2024 05:30 Europe/Rome
  • Hijra: la migrazione del Profeta (SAW) dalla Mecca alla Medina

PARS TODAY- La Hijra, ovvero la Migrazione del Profeta e dei musulmani da Mecca a Medina, fu un evento epocale nella storia dell’umanità, e in particolare per i musulmani, un evento che dette il vero natale alla prima Comunità islamica.

Il termine hijra deriva dalla radice dei verbi hajara-yahjuru, il cui significato etimologico riporta al concetto di “rompere un legame, abbandonare, metter da parte”, ed è spesso utilizzato dal nobile Corano in vari contesti per descrivere diverse situazioni. Per esempio il trentaquattresimo versetto della Sura an-Nisā’ consiglia agli uomini, qualora sorgessero dei problemi particolari con le proprie consorti, di lasciarle da parte (wahjūruhunna), e dunque spezzare il legame consuetudinario che v’è tra loro e volgersi altrove;. Il decimo versetto della Sura al-Muzzammil recita: sopporta con pazienza quello che dicono e allontanati dignitosamente (hajran jamēlā) e ancora nella Sura al-Muddaththir, al versetto cinque, è detto: allontanati dall’abiezione. Il termine hijra descrive, quindi, un movimento di una o più persone da un luogo a un altro, ed è giustamente tradotto in italiano con la parola migrazione.

Quando i meccani si resero conto che l’Islam aveva messo radici a Yathrib e ivi si stava espandendo, la loro animosità non conobbe limiti. I loro capi, come Abu Jahl, Abu Lahab, Abu Sufyan e Utbah si riunirono a Dar-un-Nadwa e, dopo aver rifiutato le proposte di imprigionare o bandire Muhammad (SAW), pianificarono di assassinarlo.

“E [ricorda] quando i miscredenti tramavano contro di te e per tenerti prigioniero o ucciderti o esiliarti! Essi tramavano intrighi e Allah tesseva strategie. Allah è il migliore degli strateghi [VIII; 30]”.

Al fine di sfuggire alla vendetta dei Banu Hashim, fu deciso che ogni clan avrebbe fornito un uomo, e che essi tutti insieme avrebbero aggredito il Profeta (SAW) non appena fosse uscito di casa.

Ma Dio aveva già messo al corrente di tale intrigo il Suo Profeta (SAW), che a sua volta informò Alì (AS), al quale ordinò di dormire nel suo letto. Il Profeta (SAW) coprì Alì (AS) con il suo mantello verde. Quando Alì (AS) ascoltò che la sua vita doveva essere il riscatto di quella del Profeta (SAW), egli subito si prostrò davanti a Dio per ringraziarLo di questo onore unico. Questa fu la prima sajdah di shukr (una prostrazione di ringraziamento e gratitudine) nell’Islam. Alì (AS) dunque si mise a dormire tranquillamente nel letto del Profeta (SAW) mentre questi uscì di casa passando sotto il naso dei cospiratori. Uscendo di casa, infatti, egli recitò i primi versetti della surah Ya-Sin e gettò un pugno di polvere sulle loro teste. Nessuno di essi lo vide mai uscire.

Il Profeta  si recò sulla montagna di Thawr accompagnato da Abu Bakr ed entrò in una caverna nei pressi della sua sommità. Questo luogo si trova a circa cinque miglia da Mecca.

All’alba gli miscredenti irruppero nella sua casa, rimanendo sbalorditi quando nel letto vi trovarono Alì (AS) e non il Profeta (SAW). Subito si gettarono all’inseguimento seguendo le sue tracce fino all’imbocco della caverna. Essi però non pensarono di entrare e cercare al suo interno. Perché?

Non appena i fuggitivi entrarono nella caverna, un ragno vi costruì la ragnatela proprio all’ingresso e un paio di piccioni edificarono il loro nido all’imbocco della stessa nel buio della notte, e vi depositarono persino le uova. Furono proprio la regnatela e il nido con le uova a far pensare ai nemici assetati di sangue che Muhammad (SAW) non poteva trovarsi nella caverna, perché ovviamente la ragnatela sarebbe stata distrutta e il nido con le sue uova danneggiato! Fu nel momento in cui essi erano vicinissimi all’imbocco della caverna che Abu Bakr iniziò a piangere, temendo che li avrebbero scoperti. Il Profeta (SAW) però lo consolò dicendo: «Non ti affliggere, Allah è con noi [IX, 40]».

Essi lasciarono dunque Mecca nella prima notte del mese di Rabi’ul-Awwal (corrispondente al 15 o al 16 luglio del 622 d.C.) raggiungendo la caverna di Thawr prima dell’alba rimanendovi fino al 4 di Rabi’l-ul-Awwal. Nel quinto giorno cominciarono il loro viaggio verso Medina, e Abdullah ibn Uraqit al-Daylami fu incaricato di mostrare loro la via.  Viaggiando attraverso rotte non frequentate, essi raggiunsero sani e salvi Quba (a circa due miglia da Yathib) nell’ottavo giorno del mese di Rabi’-ul-Awwal. Ivi il Profeta(SAW) posò la prima pietra della moschea di Quba che è stata menzionata nel Corano come «la moschea fondata sulla devozione» (IX, 108). Dopo pochi giorni a Quba Alì (AS) si unì a loro e procedettero insieme verso Yathrib, entrandovi il venerdì sedicesimo giorno del mese di Rabi’ul-Awwal con un gruppo di seguaci che era andati loro incontro per dare il benvenuto al Profeta (SAW).

Questa fu l’Egira (hijrah) da cui prende l’avvio il calendario islamico, l’anno dell’Egira.

Il Profeta (SAW) e il suo devoto gruppo di seguaci avevano pazientemente tollerato avversità, tirannia e oppressione indicibili per tredici anni, e alla fine dovettero abbandonare i loro cari e le loro case, rinunciando a ogni bene materiale che possedevano. Essi non avevano mai desiderato guadagni materiali e terreni, né avevano mai aspirato a una qualche posizione sociale prestigiosa o a un incarico politico o amministrativo rilevante. Il Profeta (SAW) aveva inequivocabilmente detto ai meccani:

“Io non desidero né ricchezze né potere né posizioni di prestigio. Io sono inviato da Dio, il quale mi ha ordinato di annunciarvi liete notizie. Io vi trasmetto le parole del Signore. Io vi ammonisco. Se accettate il messaggio che vi porto, Dio vi sarà favorevole in questo mondo e nell’altro. Se rifiutate il mio ammonimento, pazienterò e lascio che Dio giudichi tra voi e me”.

I primi musulmani furono tormentati e perseguitati semplicemente perché credevano in Dio, il Signore dei mondi, e Lo adoravano senza associarGli alcun compagno o creatura. Essi non avevano esercitato alcuna costrizione, perché il Corano afferma:

“Non c’è costrizione nella religione. La Retta Via ben si distingue dall’errore. Chi dunque rifiuta l’idolo e crede in Allah, si aggrappa all’impugnatura più salda senza rischio di cedimenti. Allah è audiente, sapiente [II, 256]”.

Il Corano si appella solo alla coscienza interiore dell’uomo, alla ragione e all’intelletto. A ogni modo, la nuova religione era in netto e profondo contrasto con i culti praticati dai Quraish, che ere di osservanza e credenze avevano reso sacri ai loro occhi. Il Profeta predicò l’uguaglianza dell’uomo e sottolineò il fatto che solo sulla rettitudine e sul timor di Dio poggia la superiorità di uno sull’altro. I Quraish vedevano in questo appianamento delle distinzioni la fine della loro autorità e dei loro privilegi (come quello di essere i custodi della Ka’bah), della loro egemonia sociale e politica e dei loro vasti interessi in generale.

La nuova religione pose delle restrizioni e delle limitazioni alla libertà promiscua e sbrigliata assecondata nelle relazioni sociali. Essa annunciò la fine dei modi licenziosi, del piacere sensuale sregolato e delle orge alcoliche a cui i Quraish erano soliti abbandonarsi in lungo e in largo. Essa impose una disciplina spirituale sotto forma di preghiera, digiuno e continenza, e disapprovò l’avarizia, la cupidigia, la calunnia, la falsità, l’indecenza e altri vizi di cui la società era permeata. In breve, significò l’abbandono dei vecchi modi e l’adozione di una nuova visione della vita e del mondo basata sulla devozione a Dio, sulla semplicità e sul controllo dei sensi e delle passioni. 

 

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