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Perché l’uguaglianza razziale negli USA è rimasta solo uno slogan?
Pars Today- Cinque anni dopo l’uccisione di George Floyd, un giovane afroamericano, per mano della polizia statunitense, le azioni e le politiche promesse in favore della parità di diritti per le minoranze e le persone di colore da parte del governo americano e di molte grandi aziende del Paese sono state già dimenticate.
L’agenzia Reuters, a questo proposito, ricordando la politica di “Diversità, Equità e Inclusione” (DEI) che era stata annunciata per eliminare la discriminazione razziale tra i dipendenti governativi, scrive: il regresso dai programmi anti-discriminazione si è intensificato con l’inizio della nuova presidenza di Donald Trump, e la società americana sta assistendo a una nuova ondata di arretramento, cinque anni dopo la morte di Floyd.
L’omicidio di George Floyd nel maggio 2020 non è stato un semplice episodio isolato, ma uno degli anelli di una lunga catena di violenze razziali della polizia americana contro gli afroamericani. Floyd, un giovane nero, fu arrestato con il sospetto di aver usato una banconota falsa e rimase per 9 minuti e 29 secondi sotto il ginocchio di Derek Chauvin, un agente di polizia di Minneapolis, finché non morì.
La diffusione del video di quei momenti si è rapidamente propagata sui social network, scuotendo profondamente la società americana; tanto che la sua ultima frase, “Non riesco a respirare”, è diventata velocemente il simbolo della protesta globale contro il razzismo.
Sebbene il razzismo affondi le sue radici nella storia degli Stati Uniti e non fosse certo un problema nuovo, la diffusione di quel video e la violenza mostrata dalla polizia americana contro il giovane afroamericano hanno scatenato proteste pubbliche negli Stati Uniti, al punto che milioni di persone in oltre 2.500 città e stati diversi sono scese in strada con lo slogan “Black Lives Matter”, “La vita dei neri conta”.
Anche le grandi aziende e i marchi globali si sono inseriti in queste proteste, pubblicando dichiarazioni di sostegno al movimento Black Lives Matter. Per esempio, Apple ha promesso investimenti nell’istruzione delle minoranze, Amazon ha stanziato centinaia di milioni di dollari per l’assunzione di persone di colore, e centinaia di altre aziende hanno annunciato diversi programmi per contribuire a risolvere il problema della discriminazione razziale.
A livello politico, anche Joe Biden, allora candidato democratico, criticò duramente la condizione degli afroamericani negli USA e, sostenendo il movimento per la giustizia razziale, riuscì ad attirare una parte del consenso pubblico. Dopo la vittoria di Biden alle elezioni del 2020, il suo governo promise che avrebbe affrontato il razzismo strutturale e rafforzato le politiche di “Diversità, Equità e Inclusione” in tutte le istituzioni federali.
Tuttavia, il complesso delle promesse politiche ed economiche si è affievolito con il diminuire dell’ondata di sollevazione sociale in tutto il territorio americano, tanto che, secondo un rapporto pubblicato nel 2023, meno del 50% dei fondi promessi dalle aziende dopo la morte di Floyd è stato effettivamente erogato o utilizzato.
D’altra parte, anche il governo Biden si è scontrato con limiti strutturali. Sebbene siano stati emessi numerosi ordini esecutivi per riforme nella polizia, a sostegno delle minoranze e per aumentare la diversità nelle assunzioni, queste politiche sono rimaste in molti casi in sospeso o non hanno prodotto risultati concreti.
Con la nuova vittoria di Donald Trump alle elezioni presidenziali, le politiche DEI, che nei giorni successivi alla morte di Floyd erano state promosse in molte aziende e istituzioni governative, hanno subito una dura reazione da parte dei conservatori; Trump e i suoi alleati hanno definito la DEI come “razzismo al contrario” e l’hanno presentata come una minaccia per il “meritocrazia bianca”.
Di fatto, con la presidenza Trump, il terreno per il ritorno della società americana alle politiche discriminatorie si è reso più fertile, e la maggioranza bianca, dopo un breve periodo di empatia, è tornata rapidamente ai precedenti approcci e politiche discriminanti. Trump ha definito gli agenti di polizia “eroi” e i critici del razzismo “bambocci di sinistra”. Questo arretramento non è stato evidente solo a livello politico, ma anche nel tessuto economico e culturale degli USA. Molte aziende hanno silenziosamente smantellato i loro cosiddetti programmi di giustizia razziale o ne hanno ridotto i budget.
Anche sul piano politico e sociale, non c’è stata né una pulizia nei ranghi della polizia, né una riforma del sistema giudiziario, né un miglioramento del divario reddituale tra neri e bianchi. Persino tra i dipendenti governativi, le minoranze continuano ad avere una quota marginale nei ruoli decisionali. In altre parole, le promesse erano fatte solo per ridurre temporaneamente le pressioni sociali.
In realtà, strutture razziste si sono penetrate nel tessuto stesso della società americana, e sembra che non sia mai esistita una reale e seria volontà di eliminarle. Le persone di colore, in particolare gli afroamericani, da decenni affrontano disuguaglianze profonde in tutti gli ambiti, e anche oggi, cinque anni dopo l’uccisione di George Floyd, l’America ha nuovamente dimostrato che il percorso verso la giustizia razziale è difficile, costoso e instabile di fronte alle forze conservatrici. Le aziende, invece di un impegno convreto e duraturo, hanno spesso ridotto la giustizia razziale a un progetto pubblicitario. Il governo, invece di operare riforme strutturali, si è lasciato intrappolare nei suoi soliti calcoli e interessi politici.
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