La guerra Iran-Iraq e la memoria corta dell’Italia
(last modified Thu, 01 Oct 2020 05:50:22 GMT )
Ott 01, 2020 07:50 Europe/Rome
  • La guerra Iran-Iraq e la memoria corta dell’Italia

di Luciana Borsatti, giornalista e scrittrice (fonte Huffington Post)

Non molti se ne sono accorti, ma qualche giorno fa è stato il 40/o anniversario della guerra Iran-Iraq. Una guerra cominciata il 22 settembre 1980 con l’invasione dell’Iran da parte dell’esercito di Saddam Hussein, e conclusasi solo otto anni dopo, con un bilancio di centinaia di migliaia di morti e perdite economiche inestimabili.

Un bilancio completamente in perdita, con altissimi costi umani tra i soldati e la popolazione civile, per una guerra che non ha comportato vantaggi territoriali per nessuna delle due parti belligeranti, e ha lasciato una memoria indelebile non solo in chi ha perso i propri cari, è rimasto mutilato o ha subito altri danni permanenti alla salute – come gli abitanti della città a maggioranza curda di Sardasht, colpita nel 1987 da uno dei tanti bombardamenti con armi chimiche di Saddam.

Eppure anche in Italia si sarebbe dovuto ricordare di più questo anniversario, dato che anche dal nostro Paese sono giunte importanti forniture di armi a Saddam, sostenuto da mezzo mondo in quella che si era trasformata in un’offensiva a tutto campo contro la neo-costituita Repubblica Islamica. 

E considerato anche che la Banca Nazionale del Lavoro sarebbe stata al centro di un enorme scandalo, per l’operato della sua filiale di Atlanta, erogatrice dal 1984 di circa 4 mila miliardi di lire a favore di Bagdad per l’acquisto di armamenti. È la cosiddetta “Atlanta Connection” che fa da titolo al libro di Giuseppe Mennella e Massimo Riva (Laterza 1993), uno degli almeno tre volumi - uno di Fabrizio Tonello (Garzanti) uno di Alan Friedman (Longanesi) - dedicati all’argomento.

Come concludeva nell’aprile 1992 l’apposita commissione di inchiesta del Senato, il crack della filiale di Atlanta della Bnl, che aveva appunto esposto per 4.000 miliardi la banca italiana con l’Iraq nella seconda metà degli anni’ 80, rientrava in “una operazione di politica internazionale progettata e condotta per lo più clandestinamente, che ha trovato piena sponda negli Usa e negli altri paesi”.

Insomma, la Bnl di Atlanta diretta da Chris Drogoul sarebbe stata per anni il braccio finanziario del dittatore iracheno, che avrebbe sfruttato i finanziamenti a basso costo concessi alle aziende straniere interessate ad esportare in Iraq per ricostituire la propria macchina bellica. E questo, come emerge da un interessante dibattito di allora riascoltabile su Radio Radicale non tanto perché l’Italia avrebbe avuto particolari interessi nazionali da sostenere in quel conflitto, quanto per una sua subalternità, se non un vassallaggio, nei confronti dell’America dell’allora presidente Ronald Reagan e del suo vicepresidente George Bush. 

L’Italia inoltre, coinvolta nella guerra anche per la vendita all’Iraq di elicotteri e navi militari (rimaste in realtà bloccate nelle nostre acque fino alla fine del conflitto per le successive restrizioni all’export di armi) viene tuttora amaramente ricordata in Iraq per la pesante eredità lasciata dalle sue mine.

Come segnalava infatti un’inchiesta di Amalia De Simone e Marta Serafini, durante quel conflitto furono piazzati “circa 10 milioni di ordigni, molti dei quali venduti dal nostro Paese”. E nonostante le perduranti operazioni di bonifica sul confine, per quelle micidiali trappole esplosive si continua a morire o restare mutilati.

È evidente dunque come anche l’Italia non possa chiamarsi fuori dalle proprie responsabilità in quei drammatici anni di guerra. Con Saddam stavano appunto quasi tutti, dall’Urss e dai suoi satelliti all’Egitto e alle monarchie del Golfo, dalla Francia alla Germania e al Regno Unito e, ufficialmente dal 1984, anche gli Usa.

Perché parlarne ora? Non solo perché è di questi giorni un anniversario con il numero tondo, al centro di una recente conversazione con Nicola Pedde su Diruz - e si segnala anche una originale storia a fumetti di Laura Silvia Battaglia e Paola Cannatella. Ma anche perché la guerra Iran-Iraq resta un capitolo tutt’altro che chiuso per  gli iraniani: una drammatica stagione che ha segnato l’esperienza di due generazioni e che tuttora influenza la percezione che il Paese ha di sé rispetto al resto del mondo.

D’altronde, l’attualità del tema continua a essere alimentata dalle massicce politiche anti-iraniane dell’America di Trump, il cui segretario di Stato Mike Pompeo è impegnato a cercare sostegno internazionale anche per il tentativo della Casa Bianca, fallito al Consiglio di sicurezza, di far tornare in vigore le sanzioni Onu precedenti all’accordo sul nucleare del 2015.

“Il complotto degli Usa per sconfiggere l’establishment iraniano con la loro guerra economica a partire dal 2018 è stato una ripetizione delle illusioni e degli errori di calcolo” di Saddam Hussein quando invase l’Iran nel 1980, ha sottolineato in occasione dell’anniversario il presidente Hassan Rouhani.

Concetto ribadito in questi giorni anche nel suo intervento all’Assemblea Generale dell’Onu: “Hanno preteso di essere venuti nella nostra regione per combattere Saddam Hussein – ha detto Rouhani, a proposito dell’invasione statunitense dell’Iraq nel 2003 -, lo stesso mostro che avevano loro stessi creato, nutrito e finanziato nella guerra che  avevano imposto all’Iran, fornendogli armi chimiche e le più sofisticate macchine da guerra”. “ E si vantano – ha aggiunto – di combattere il terrorismo e l’Isis, mentre sono stati loro stessi a creare questa rete del terrore. E si aspettano di averne la gratitudine della regione”.

 

Potete seguirci sui seguenti Social Media:
Instagram: @parstodayitaliano
Whatsapp: +9809035065504, gruppo Notizie scelte
Twitter: RadioItaliaIRIB
Youtube: Redazione italiana
VK: Redazione-Italiana Irib
E il sito: Urmedium