Iran, 45 anni fa, la vittoria della Rivoluzione Islamica - 2a p.
TEHRAN - Ogni anno nell'11esimo giorno di febbraio si svolgono le manifestazioni in tutto l'Iran in occasione dell'anniversario della vittoria della rivoluzione islamica del 1979.
La cultura, la civiltà e gli elementi positivi nella vita sociale dell’essere umano sono indebitati più di ogni altra cosa con il sacrificio di quelle persone sagge che, con i loro nobili ideali, hanno invitato l’umanità verso l’equità, la giustizia e la libertà, verso l’eternità e verso una Verità che è più grande del tangibile e dei fenomeni del mondo materiale
Facendo seguito alla decomposizione di queste organizzazioni ibride e con la popolazione che divenne consapevole del loro deviato corso, a partire dal 1972 si formarono alcuni gruppi rivoluzionari i cui membri credevano nella Linea dell’Imam. Tra questi i più importanti erano sette gruppi che più tardi si coalizzarono e crearono i “Combattenti della Rivoluzione Islamica” (Sazman-e Mojahedin-e Enghelab-e Eslami). La formazione e le attività di questi gruppi erano conformi alla lotta della popolazione e fortemente sostenuti dalle dimostrazioni popolari e dagli scioperi del 1977 e 1978.
Fedayan-e Eslam (“Coloro che si sacrificano per l’Islam”), fondata nel 1944 attraverso gli sforzi del sapiente religioso rivoluzionario Martire Seyyed Mojtaba Navvab Safavi, era la più consolidata di queste organizzazioni religiose, che credeva nella lotta armata, aveva una profonda fede sia nell’Islam che nel ruolo degli ulamà e non era influenzata da altre scuole di pensiero o ideologie. Le misure da essa adottate all’inizio del governo dello Shah e durante il periodo in cui godeva del sostegno del saggio rivoluzionario Ayatullah Kashani gettarono un raggio di speranza per le forze religiose, in comparazione alle attività di altri partiti satelliti come il Tudeh. In aggiunta alle sue continue attività politiche, tra le attività militanti dei Fedayan-e Eslam vi fu l’uccisione di ‘Abdul Husayn Hajer e di Marshal Razmara (il Primo Ministro dello Shah); vari tentativi di assassinio contro lo Shah, contro alcuni membri della famiglia reale e Husayn ‘Ali (tutti falliti). In seguito all’evento del 15 Khordad, secondo le direttive dell’Imam Khomeyni, venne creata la Hay’atha-ye Mu’talafe-ye Eslami (“Coalizione dei Movimenti Islamici”), che godeva del suo sostegno e della sua guida. I fondatori della Coalizione comprendevano alcuni membri e militanti di Fedayan-e Eslami, un numero di devoti mercanti del bazar e membri delle organizzazioni religiose di Teheran, che erano in contatto e condividevano le idee di nobili figure quali il Martire Morteza Motahhari e il Martire Dr. Beheshti. Questo gruppo svolse un ruolo significativo nella riproduzione e distribuzione delle opere e dichiarazioni dell’Imam, nell’organizzazione di cerimonie e nel partecipare attivamente a dimostrazioni e marce tenute in sostegno della rivolta del 15 Khordad e nel continuare il Movimento a seguito dell’esilio dell’Imam. L’esecuzione rivoluzionaria di Hasan ‘Ali Mansour (il 21 Gennaio 1965) venne organizzata e attuata dal ramo militare di questo gruppo.
Le misure prese dall’Imam Khomeyni e la sua presenza come Guida del Movimento durante il periodo della rivolta degli ulamà contro la proposta per i Consigli Provinciali e Distrettuali e contro il referendum dello Shah (che culminò nella sollevazione del 15 Khordad), portò all’ottenimento della cooperazione e simpatia dei Marja di quel tempo in Iran. L’esito degli incontri e delle discussioni tenute dall’Imam con i Marja era generalmente reso pubblico sotto forma di dichiarazioni scritte individualmente o collettivamente. I giovani seminaristi (talebeh) e gli studenti rivoluzionari seguaci dell’Imam diedero il loro supporto al Movimento, ma vi erano molte figure ben note e bigotte nei seminari di insegnamento religioso (Hawzah) che furono incapaci di cogliere veramente la portata della lotta e che pertanto, in varie forme, resero manifesto il loro scontento. Vi facevano parte un’ampia fascia di persone, da coloro che si opponevano alla filosofia e alla gnosi ai formalisti che vedevano la politica come qualcosa che degradava la dignità degli ulamà, fino alle organizzazioni Hojjati e Velayati che, ognuna in differenti modi, misero in dubbio gli obiettivi della lotta sia in incontri pubblici che privati. A questi dobbiamo aggiungere quegli ulamà che apertamente o segretamente avevano legami con il regime dello Shah, e quelli passivi che ritennero il Movimento dell’Imam dannoso per la loro comoda posizione, limitando gli affari dei Marja ai bacia-mano, alle disquisizioni scritte e al ricevimento dei pagamenti delle tasse religiose.
L’Imam Khomeyni, noto per la sua pazienza e tolleranza, disse quanto segue in un messaggio riguardante i problemi sperimentati dal Movimento per le circostanze prevalenti nella Hawzah:
“I più influenti dei sapienti religiosi combattenti sono stati davvero feriti. Non sbagliare nel ritenere che siano stati soltanto i nostri nemici ad accusarci di collaborare con l’opposizione e ad aver lanciato accuse di miscredenza, perché non è affatto così. Queste ferite inflitte, volontariamente o meno, da agenti stranieri (1) tra gli ulamà, erano e continuano ad essere molto più profonde di quelle inflitte dai nostri rivali. All’inizio della lotta islamica, se qualcuno diceva “Lo Shah è un traditore”, si sarebbe prontamente udita la replica: “Lo Shah è sciita”. Un gruppo di formalisti arretrati vedeva ogni cosa come proibita dalla Legge religiosa (Shariah) e nessuno aveva la forza di alzarsi di fronte a loro. Il tuo angosciato anziano padre [l’Imam stesso] ha sofferto da questo gruppo fossilizzato come mai aveva sofferto prima per le pressioni e avversità create da altri…Apprendere una lingua straniera veniva visto come blasfemo e la filosofia e la gnosi erano considerate peccati e politeismo. Nella Madrese Feiziyeh il mio neonato figlio, lo scomparso Mustafa, bevette acqua da una caraffa; essi allora la sciacquarono. Fecero ciò perché io insegnavo filosofia!! (2)…Il 15 Khordad 1342 noi non abbiamo affrontato soltanto i fucili e i proiettili dello Shah; se fosse stato solamente questo, allora il confronto sarebbe stato facile. Ma vi erano anche le pallottole dell’inganno, del formalismo e della pietrificazione sparate dall’interno del nostro campo; le pallottole della derisione e dell’ipocrisia che hanno lacerato il cuore e l’anima centinaia di volte più della polvere da sparo …I veri ulamà genuini piangevano sangue in solitudine e prigionia.”
Malgrado tutte queste difficoltà, la presenza potente dell’Imam sulla scena degli eventi che ebbero luogo nella Hawzah di Qom tra il 1961 e il 1964 oscurò gli ostacoli dell’opposizione. L’esilio dell’Imam vide però il sorgere di un periodo di oppressione e lento esilio per i suoi amici e compagni nei seminari di insegnamento religioso e di sviluppo per le organizzazioni rivali. Le pressioni esercitate dal regime dello Shah e la sua pesante repressione del Movimento portarono ad una situazione dove la maggioranza degli ulamà credeva che la cosa migliore fosse rimanere in silenzio! Questo fu vero a tal punto che fino al 1977, quando il Movimento risalì la china, non vennero visti o ascoltati nessuna mobilitazione, messaggio o discorso indicativo della continuazione degli obiettivi del Movimento – a parte le dichiarazioni dell’Imam e dei suoi compagni; o se vennero testimoniati, fu in modo raro e incostante.
L’Associazione Hojjatiyeh si sviluppò sfruttando le simpatie verso il pensiero islamico della gente in generale e quella dei giovani in particolare (che infatti era uno dei prodotti del raccolto mietuto grazie al 15 Khordad). Gli incontri segreti dell’Associazione e i metodi da essa utilizzati per attirare membri avevano un certo fascino che portò le forze religiose ad unirvisi. Le sue attività, intenzionalmente o meno, si adattavano a quelle della Savak: le vibranti energie dei giovani e delle persone colte che avrebbero potuto farsi carico di alcune delle responsabilità nella lotta, vennero spese nell’apprendere i difetti delle assurde leggi Baha’i e sul come contrastare questi pensieri. I capi di questa Associazione non giunsero mai a comprendere o accettare che le loro attività costituivano una lotta contro l’effetto (e non la causa) e che costituivano infatti una diversione, poiché il Baha’ismo (nato dalle politiche americane) era a quel tempo uno strumento totalmente politico a disposizione del regime dello Shah e non un vero movimento basato su idee e pensieri. Il pericolo costituito dai Baha’i scaturisce dal fatto che gli elementi di questo gruppo erano organizzati come anelli nella catena di un progetto mondiale ideato dai sionisti ed erano stati installati dallo Shah nelle posizioni centrali della nazione come spie e guardiani degli interessi americani e israeliani. La vera lotta contro questa gente richiedeva politica e saggezza; qualcosa che non era possibile trovare in alcun programma della Hojjatiyeh. Non è sorprendente che gli affari di questa Associazione rimasero immuni dall’aggressione della Savak dal giorno della sua nascita fino al trionfo della Rivoluzione Islamica.
L’articolo nove della Costituzione dell’Associazione Hojjatiyeh recita: “L’Associazione non sarà coinvolta in alcun modo in questioni politiche”. Di conseguenza, una delle condizioni per l’ammissione nell’Associazione era la sottoscrizione di un giuramento scritto di non-ingerenza nella politica. In uno dei documenti della Savak firmato dal capo della Terza Divisione, leggiamo: “Il presidente dell’Associazione ha richiesto l’assistenza della Savak affinché la Propagazione Islamica (un’affiliazione dell’Associazione Hojjatiyeh) tenga un confronto accademico e filosofico con il Bahaismo nella capitale …” In un altro documento firmato dal capo della Sezione Informativa del Comitato Congiunto anti-sommossa è scritto: “Secondo le informazioni fornite da Hajj Shaykh Mahmnud Zakirzada (Tavalayi), conosciuto come Halabi, uno dei coordinatori di questo incontro (dell’Associazione Hojjatiyeh) viene assistito dalla Ventunesima Divisione dell’Organizzazione di Intelligence e Sicurezza dello Stato (Savak) a Teheran. E’ meglio chiedere a detta persona rispetto all’incontro tenuto, prima che gli altri vengano convocati.” (3)
Quando nel 1978 l’Imam dichiarò le celebrazioni del 3 e 5 Shaban (per l’anniversario della nascita del terzo e del quarto Imam, n.d.t.) proibite dalla Legge sacra (4) per protesta per i crimini del regime dello Shah, l’Associazione Hojjatiyeh entrò veementemente in campo per mettere fine alle proteste. Secondo il loro ragionamento, il loro pensiero decadente e le loro analisi inappropriate e negative, la parusia del Nobile Mahdi (possa Iddio affrettare la sua manifestazione), deve raggiungere una fase dove ogni tipo di sforzo o lotta politica per stabilire la sovranità nazionale dei Giusti viene condannata in quanto causerebbe un ritardo nella manifestazione dell’Imam dell’Epoca. Quindi va da sé che alla luce di simile ‘logica’, la sottomissione e l’oppressione vadano incoraggiate mentre la rivolta del 15 Khordad e il grido di risveglio dell’Imam condannato.
Un altro fronte che godette del sostegno della Savak e contrastò il Movimento dell’Imam Khomeyni nella Hawzah era quello che sosteneva le idee e attività del sig. Seyyed Mohammad Kazem Shariatmadari e le istituzioni a lui collegate. Alcuni nobili ulamà erano consapevoli del suo vero volto sin dal tempo in cui egli si recò da solo a dare il benvenuto allo Shah nonostante gli ulamà di Tabriz avessero dichiarato simile condotta categoricamente proibita. E lì egli lodò e pregò per questo taghut (Shah) alla sua presenza.
Comunque, dopo la scomparsa dell’Ayatullah Borojerdi, il sig. Shariatmadari preparò la strada per il suo accesso alla Marjayyat approfittando della situazione prevalente sia nella Hawzah che nella società ed esprimendo un’apparente condivisione delle rivolte del 1961 e 1962; ma in realtà fu con l’aiuto di alcuni gruppi simili a lui che coloro che erano potere calmarono la situazione quando, a seguito dell’esilio dell’Imam, la gente era pronta alla rivolta. Un esempio delle misure preventive prese da questa persona durante questo periodo è percepibile nel rapporto datato 7/6/1963 che venne stilato dal capo della Savak di Qom, che riporta in dettaglio le conversazioni telefoniche e lettere di risposta del sig. Shariatmadari. Vi si legge: “Ieri pomeriggio, la persona summenzionata ha tenuto una conversazione telefonica con Tabriz…Shariatmadari ha affermato: “Devo avvisarvi su due questioni: a- Chiamate la gente alla calma e a non indire dimostrazioni…a Qom, ovunque essi hanno manifestato, sono sempre stati affrontati dall’esercito; ma le pallottole non possono essere combattute con i soli corpi! Quindi manifestazioni e proteste devono essere evitate; b- Fate del vostro meglio per assicurare che essi non insultino o manchino di rispetto a Sua Altezza Imperiale…Sono davvero infastidito da Khomeyni…Ho detto a Khomeyni di non agire in questo modo con lo Shah e di non opporsi al governo e alle sue politiche; ma egli non ascolta e guarda dove è andato. Nel frattempo, preparate una petizione favorevole anche per me.” (5)
Durante l’assenza e l’esilio dell’Imam, il sig. Shariatmadari trovò le circostanze opportune e il 9/10/1965, prima che fosse trascorso il primo anno di esilio dell’Imam, egli fondò un’organizzazione denominata Dar ul-Tabligh (Casa della Propaganda) con l’obiettivo di formare un argine per contrastare la linea dell’Imam e il gruppo rivoluzionario presente nella Hawzah di Qom. La fondazione di Dar ul-Tabligh era infatti stata pianificata sin dal 1962, ma la presenza e opposizione dell’Imam avevano impedito che diventasse ufficialmente attiva. La natura delle attività di Dar ul-Tabligh può facilmente essere compresa da un rapporto del 31/05/1964 che venne stilato dal capo della Savak a Qom per i suoi superiori: “Al presente non è possibile persuadere gli autori di Maktab-e Eslami (rivista degli ulamà rivoluzionari e seguaci dell’Imam, n.d.t.) a scrivere su questa rivista riguardo l’argomento in questione…E’ probabile che una simile rivista venga lanciata in futuro, denominata Dar ul-Tabligh, che sarà possibile influenzare direttamente. Il sig. Shariatmadari ha iniziato a costruire una madrasa alla quale questa rivista è affiliata. Firmato: Badi’, Capo della Savak a Qom”. (6)
Il regime trasse giovamento dalla posizione del sig. Shariatmadari che era costantemente utilizzato come molla per esercitare pressioni sulle forze leali al Movimento dell’Imam Khomeyni. I continui fastidi ai seguaci dell’Imam da parte dei sostenitori del sig. Shariatmadari sia a Qom che in altre regioni dell’Iran e le loro irritanti attività durante il periodo di esilio dell’Imam costituiscono numerosi avvenimenti, la cui discussione è al di là dello scopo di questo scritto. Simili posizioni includono la cooperazione e la collaborazione con il programma del regime riguardo all’organizzazione del Ministero dell’Educazione di esami formali per i seminaristi; lo stabilimento di un’influenza governativa diretta sulla Hawzah e la chiamata dei seminaristi al servizio militare onde permettere l’identificazione delle forze rivoluzionarie.
Per tutto il 1977 e il 1978, all’apice dell’avanzamento della Rivoluzione, il sig. Shariatmadari nelle sue interviste e comunicati adottò sempre una posizione differente da quella risoluta dell’Imam. Al riguardo possono essere menzionati i seguenti casi: il suo impegno per la precedente Legge Costituzionale; la sua accettazione della monarchia; la sua opposizione all’idea di stabilire un governo islamico; la sua approvazione del concilio monarchico dopo la fuga dello Shah; la sua condanna del governo piuttosto che dello Shah e degli Stati Uniti come prima causa dei crimini commessi. Il suo coinvolgimento nei problemi del Partito Khalq-e Musalman e il tentativo di colpo di Stato contro la Repubblica Islamica sono altre questioni delle quali la nazione iraniana è stata testimone tramite le sue confessioni trasmesse in televisione.
Un’altra forza attiva che, tanto nei seminari teologici quanto nella società, sviò la lotta dal suo principale obiettivo – vale a dire rovesciare la monarchia – verso questioni che causavano divisioni era quella dei Welayati. Anch’esso, al pari di altri gruppi, costituiva un insieme incongruo. Gli elementi corrotti degli pseudo-ulamà che servivano il regime costituivano la vera influenza dirompente che, con vari pretesti, creavano quotidianamente problemi all’interno delle comunità religiose e, approfittando dei sentimenti della popolazione e del vero amore provato verso la wilayat (7), deviarono l’attenzione pubblica verso questioni divergenti e un confronto con eminenti esposizioni quali quelle del Martire Motahhari. Le lezioni e attività tenute da un gruppo di sapienti religiosi e studiosi universitari nella Hosseyniyeh Irshad (8) dal 1967 al 1971 e a seguire avevano attirato l’attenzione di un gran numero di studenti universitari e laureati verso una rivalutazione delle discussioni e interpretazioni islamiche e avevano introdotto su ampia scala l’Islam come una dinamica e potente scuola di pensiero alla giovane generazione della nazione. Le carenze presenti nei lavori del Dr. Shariati, i suoi duri attacchi agli ulamà e le sue idee innovative nell’esegesi degli argomenti rivoluzionari e religiosi, occasionalmente unite ad opinioni erronee, diventarono un bersaglio degli attacchi della cosiddetta forza “Welayati”. La tribuna da dove questo gruppo predicava e teneva discorsi diventò una piattaforma per fabbricare e lanciare accuse maliziose di irreligiosità e Wahabismo contro questa e quella persona. L’opposizione e la difesa di certi argomenti rinvenuti nell’opera del Martire Javid, a volte aveva poi stimolato dibattiti feroci che causavano divisione all’interno dei seminari teologici, e nell’intensità di queste dispute era il regime dello Shah il primo beneficiario. Quest’ultimo cercò di danneggiare il volto della lotta e dei suoi sostenitori aggravando le differenze e sostenendo l’opposizione (al Movimento dell’Imam). Le misure devianti e il fanatismo di un numero di elementi apparentemente rivoluzionari nei seminari teologici aggiunse inoltre nuova benzina alla già infuocata situazione esistente, confermando così la propaganda viziosa del regime. L’uccisione dell’Ayatullah Shamsabadi a Esfahan e altri avvenimenti simili illustrano come la Savak seppe utilizzare simili occasioni.
Quello che è stato detto finora non è che una piccola parte della moltitudine di problemi e ostacoli che sorsero nel periodo che va dalla rivolta del 15 Khordad fino agli anni 1977-1978 quando la Rivoluzione venne riaccesa dalla ripresa della lotta dell’Imam. Da una parte l’Imam pativa il dolore di essere distante dalla sua madre patria – il suo crimine essendo stato quello di aver gridato contro l’America – e dall’altra parte la tempesta di eventi che erano stati inflitti all’Iran e l’ondata di accuse maligne e di ostacoli posti da pretesi religiosi e dagli ulamà della Hawzah di Najaf. Tuttavia, nonostante queste tristi e misere condizioni, l’Imam doveva guidare la nave della Rivoluzione colpita dalla tempesta attraverso le innumerevoli angusti eventi. In realtà il periodo più difficile e critico della Rivoluzione Islamica fu in questi anni, ogni momento dei quali erano pieno di incidenti e ogni istante dei quali era un tentativo tempestoso di portare fuori rotta la nave della Rivoluzione dell’Imam e di estinguere la torcia che il 15 Khordad era stata riaccesa dopo tredici secoli.
Qui bisogna menzionare i grandi uomini che con devozione e risoluzione ruotarono come falene tanto intorno all’Imam a Najaf quanto intorno alla torcia della sua Rivoluzione in Iran, e che ne rimasero bruciati. Essi sopportarono volentieri le accuse. Mentre erano sul minbar o tenevano sermoni parlavano dell’Imam Khomeyni e difendevano il suo sentiero. Durante le lunghe e soffocanti notte oscure del periodo di oppressione dello Shah, costoro hanno salvaguardato la Stella della Libertà. In molte occasioni con le minime facilità a disposizione hanno sfidato le pericolose strade che conducevano a Qom e Najaf a cavallo o a piedi e trasmesso i messaggi, discorsi e trattati dell’Imam da mano a mano e da cuore a cuore. Si sono sollevati contro gli usurpatori e i cospiratori nei seminari teologici. Hanno sopportato volentieri le pallottole dell’afflizione, dell’imprigionamento, della tortura e dell’esilio. Hanno raggiunto il martirio con il loro puro sangue in un tempo in cui esso aveva perso in gran parte il suo colore.
Francobollo ritraente il Martire Ayatullah Dastgheib e il Martire Ayatullah Madani, due fedeli seguaci e compagni dell’Imam dalla prima ora
Hanno fatto ciò per rendere testimonianza della Verità che venne poi orgogliosamente proclamata dal loro Imam:
“Per secoli gli ulamà dell’Islam sono stati il sostegno dei diseredati…in ogni periodo della storia essi (gli ulamà) hanno sofferto afflizioni e avversità per difendere la sacralità della loro religione e nazione; e sopportato ogni tipo di cattività, esilio, imprigionamento, intimidazione, angheria e derisione; hanno lasciato in eredità martiri di grande valore alla Presenza Divina…In ogni movimento e rivoluzione popolare e divina gli ulamà dell’Islam sono stati sempre i primi a decorare la loro fronte con il sangue del martirio.” (9)
Come si può ritenere uguale o anche soltanto tentare di comparare il valore dei sacrifici compiuti da questi amati martiri e avanguardie della lotta, con quello di coloro che si sono uniti soltanto recentemente ai ranghi della Rivoluzione?
Quando Jimmy Carter del Partito Democratico venne eletto Presidente degli Stati Uniti nel 1976, la questione dei diritti umani era in cima alla sua agenda. Il suo principale obiettivo era quello di coprire i crimini statunitensi nel mondo e cercare di rimuovere dalla memoria le loro azioni criminali in Giappone, Vietnam, Korea e Palestina. La questione dei diritti umani veniva inoltre utilizzata anche per esercitare pressioni sul competitore orientale degli Stati Uniti, l’oggi defunta Unione Sovietica. La promulgazione di questa politica non comportò comunque cambiamenti nei piani espansionisti del governo USA, nella sua inumanità verso gli altri paesi del mondo o nel suo atteggiamento oppressivo all’interno del paese stesso. L’aumento della consapevolezza nell’opinione pubblica mondiale unitamente alle nuove circostanze globali portarono ad una ripugnanza per i vecchi sistemi dispotici sostenuti dal governo statunitense.
In Iran il regime dello Shah aveva rafforzato e consolidato il suo potere sopprimendo l’opposizione e sradicando i gruppi che alimentavano la lotta armata. Dopo l’abbandono della regione da parte della Gran Bretagna, l’Iran divenne responsabile della politica del Golfo Persico, ruolo assolutamente imperativo per lo sfruttamento americano in questa parte del mondo. L’Iran proteggeva gli interessi statunitensi e occidentali in questa regione strategica vicina all’Unione Sovietica, e divenne conosciuto come un prototipo di governo del Terzo Mondo supportato dall’Occidente.
La continuazione del potere assoluto della Savak e la politica dispotica dello Shah non erano conformi al nuovo progetto di Carter per la propaganda dei diritti umani. Per questo motivo i cambiamenti nei metodi governativi socio-politici vennero posti dagli americani sull’agenda dello Shah, ma non era previsto un cambiamento negli elementi essenziali del governo monarchico. A quel tempo venne propagata un’atmosfera politica aperta poiché i precedenti piani degli Stati Uniti e la Rivoluzione Bianca non aveva portato a nulla. L’insoddisfazione per l’aumento della povertà nazionale e il grande divario tra le classi della società iraniana aumentava quotidianamente, e le porte della “grande civiltà” dimostrarono essere null’altro che un miraggio. Il primo passo del progetto era la rimozione di Amir Abbas Hoveyda dal suo posto di Primo Ministro – dopo aver ricoperto per quattordici anni questo incarico – e il suo rimpiazzamento con un tecnocrate occidentalizzato, Jamshid Amuzegar.
Il discernimento e la capacità dell’Imam di utilizzare in tempo e le opportunità che si presentavano mostrano la sua grande consapevolezza delle condizioni globali e specialmente di quelle presenti in Iran, sebbene si trovasse lontano dalla sua patria da molti anni. Il 23 Novembre 1977 l’Ayatullah Hajj Agha Mustafa Khomeyni venne misteriosamente martirizzato a Najaf. Secondo gli amici dell’Imam e anche molti dei suoi nemici nella Hawzah, Mustafa sarebbe stato il successore dell’Imam nel suo Movimento. Nonostante il duro colpo che venne inferto da questo avvenimento alla rivolta, l’Imam Khomeyni affrontò la sua morte in una maniera sorprendentemente paziente, accettandola come una benedizione nascosta di Dio. Immense cerimonie vennero tenute in memoria del figlio dell’Imam in molte città dell’Iran. Approfittando di questa imponente partecipazione, gli oratori rivoluzionari parlarono dei crimini del regime e degli obiettivi della rivolta del 15 Khordad. Una volta ancora il nome dell’Imam Khomeyni era sulle labbra di ognuno.
In un tentativo di vendetta, il regime pubblicò un articolo intitolato “L’Iran e l’imperialismo nero e rosso” sotto lo pseudonimo di Rashidi Mutlaq sul quotidiano Ettelaat il 7 Gennaio 1978, l’anniversario del giorno in cui Reza Shah proclamò la legge che proibiva alle donne di indossare il velo islamico (hijab). Questo articolo insultava gli ulamà rivoluzionari e l’Imam. Un’altra ragione per la quale il regime pubblicò questo articolo era quella di valutare le condizioni esistenti dopo l’applicazione della nuova politica, la cosiddetta politica dei diritti umani statunitense. I seguaci dell’Imam nella Hawzah risposero. Il giorno successivo le lezioni nella Hawzah vennero sospese e una grande folla di persone e seminaristi marciarono lungo le strade di Qom protestando per la pubblicazione dell’articolo. Essi si recarono inoltre alle case dei Marja e degli insegnanti di Qom chiedendo il loro sostegno. Quella sera le grida della folla dalla moschea Azam con lo slogan “Lunga vita a Khomeyni” e “Morte al regime Pahlavi” scossero la città di Qom ravvivando la memoria del 15 Khordad (5 Giugno 1963). Le dimostrazioni continuarono anche il mattino del 9 gennaio e la partecipazione popolare aumentò ulteriormente. Quel pomeriggio la polizia iniziò a fare fuoco sulla folla e il sangue venne sparso. Gli scontri tra polizia e dimostranti durarono fino alla notte con molte persone martirizzate e numerosi feriti. Questa azione fu la scintilla che portò all’esplosione avvenuta un anno dopo, il 12 Febbraio 1979 (22 Bahman 1357), quando attraverso gli strenui sforzi del popolo iraniano e il discernimento dell’Imam il governo egoista Pahlavi venne rovesciato.
Le cerimonie funebri che, secondo l’usanza, avevano luogo il terzo e settimo giorno in onore dei martiri del 9 Gennaio, e specialmente gli incontri che ebbero luogo il quarantesimo giorno della commemorazione delle morti, avvennero in maniera consecutiva, una dopo l’altra, a Tabriz, Yazd, Isfahan, Shiraz, Jahrom, Ahvaz, Teheran e molte altre città, facendo da carburante della rivolta. In ogni occasione i messaggi ispirati e dinamici dell’Imam venivano inviati da Najaf attraverso molti canali; essi raggiungevano velocemente l’Iran e venivano distribuiti su larga scala dagli ulamà e dai giovani rivoluzionari, spingendo avanti la Rivoluzione.
Le celebrazioni del nuovo anno e le cerimonie del 15 di Shaban [data della nascita del dodicesimo Imam, l’Imam Mahdi, ndt] nell’anno 1978 vennero cancellate dall’Imam, e pertanto la popolazione si rivoltò e tenne marce di protesta contro il regime. L’Imam invitò un messaggio di otto punti nel mese di Ramadan dello stesso anno nel quale affermava che era un dovere religioso rivelare i crimini dello Shah da ogni pulpito durante questo mese santo. Questa azione portò alla diffusione della Rivoluzione a tutte le regioni dell’Iran, anche nei villaggi.
La rivolta della popolazione di Isfahan nel mese di Ramadan obbligò il governo di Amuzegar ad annunciare lo stato della legge marziale in molte città della nazione nonostante la dichiarata apertura politica annunciata. La legge marziale venne largamente ignorata dalla popolazione e le dimostrazioni non erano limitate ai centri delle regioni né ristrette ad orari specifici.
Diverse centinaia di persone rimasero uccise quando un incendio provocato da agenti della Savak all’interno del Cinema Rex di Abedan. Il governo di Amuzegar venne sciolto e in un tentativo di controllare la situazione, il regime creò il cosiddetto governo di “riconciliazione nazionale” con a capo il senatore Jafar Sharif Emami. Nel suo discorso televisivo, Emami si presentò come seguace del sig. Shariatmadari e sostenitore degli ulamà. Per pacificare l’opposizione e in accordo agli ordini dell’ambasciata americana, egli annunciò l’abolizione del calendario imperiale e il ritorno a quello islamico. Ma l’Imam Khomeyni mantenne la sua posizione e invitò la popolazione a continuare la rivolta fino alla caduta del governo imperiale e allo stabilimento di un governo islamico.
La Preghiera per l’Id al-Fitr [la Preghiera per la fine del mese di Ramadan] si tenne il 4 settembre 1978 e venne guidata dal Martire Mofateh nella zona Qeitariyeh di Teheran, e quelle tenutesi in molte altre città mostrarono l’appoggio popolare all’Imam e l’opposizione allo Shha. Due giorni dopo il governo di “riconciliazione nazionale” venne obbligato ad imporre la legge marziale a Teheran e in altre dodici principali città dell’Iran. Nonostante lo stazionare di carri armati e camionette di soldati armati, la popolazione continuò le dimostrazioni. Le grida “Morte allo Shah” potevano essere ascoltate in tutte le ore del giorno e della notte. Lo Shah si vendicò attraverso il governo di Sharif Emami e centinaia di persone vennero assassinate nella Piazza Shohada di Teheran l’8 settembre 1978.
L’Imam Khomeyni in maniera decisiva e senza esitazione promise la vittoria. Egli condannò ogni tipo di discorso che non invitava alla caduta del regime dello Shah e mise continuamente in guardia la popolazione contro simile idea. La rivolta si diffuse rapidamente e la guida riconosciuta era solo l’Imam.
Nel frattempo l’ambasciata americana a Teheran teneva incontri con il Fronte Nazionale, che era all’opposizione, e i nomi di persone come Sanjabi e Seddiqi erano sulle labbra di tutti. Il sig. Shariatmadari entrò in campo con l’aiuto di Nihdat-e Azadi (Il Movimento della Libertà) e la propaganda dei nazionalisti, e quotidianamente inviò messaggi e concesse interviste, affermando che avrebbe partecipato alla guida della Rivoluzione.
Grazie alla rivolta della nazione nell’anno 1978 molti prigionieri politici vennero gradualmente rilasciati. Diversi capi di gruppi politici furono liberi e nuovamente iniziarono a re-organizzare i gruppi smembrati. Questi gruppi non supportarono inizialmente la rivolta, e arrivarono perfino a criticarla per la sua natura integralmente islamica e per essere guidata dagli ulamà e dall’Imam, non svolgendovi pertanto alcun ruolo rilevante. Le dimostrazioni imponenti e diffuse in occasione della Id al-Fitr [la Festa per la fine del mese di Ramadan] e dell’8 settembre li obbligarono comunque a unirsi al Movimento per trarne dei benefici. Nel corso della lotta aumentarono il fervore degli incontri politici, le pretese della guida della lotta e l’apparizione di cartelli e manifesti di propaganda ‘partitica’, ma gli slogan del popolo e l’organizzazione delle dimostrazioni – che iniziavano dalle moschee – e la guida degli ulamà nelle prime file delle manifestazioni mostravano la profonda influenza dei messaggi dell’Imam e il riconoscimento della sua guida da parte della popolazione.
Gli scioperi raggiunsero gradualmente gli uffici governativi. Quelli dei lavoratori nel settore petrolifero costituirono un pesante colpo finanziario al regime a causa della sua dipendenza dagli introiti del petrolio. I lavoratori della compagnia di telecomunicazioni, in risposta ai messaggi dell’Imam, seguirono presto l’esempio, come fecero poi gli impiegati di banca, la stampa e altre compagnie e centri governativi.
Il governo iracheno non aveva alcun controllo dell’Imam Khomeyni. Durante una serie di visite all’Imam nell’autunno del 1978, Sa’dune Shaker, il capo della sicurezza irachena, minacciò di interrompere le attività dell’Imam. In un discorso l’Imam menzionò una di queste visite e affermò: “…egli mi disse ufficialmente che per un accordo con il governo dello Shah non poteva tollerare le mie attività qui…Io non avrei dovuto scrivere nulla, dire niente, né preparare e inviare nastri registrati perché questo avrebbe violato il loro accordo. Gli dissi che si trattava di un mio dovere religioso e che lui poteva compiere qualunque dovere avesse ritenuto suo”. (10)
In un resoconto della Savak riguardante i risultati di una visita a Baghdad il 2 ottobre 1978 da parte di un gruppo di agenti della Savak per incontrare i responsabili della sicurezza irachena è scritto: “Si è discusso con Sa’dune Shaker per almeno tre ore e mezza durante il quale sono stati toccati i seguenti importanti punti: egli (Sa’dune Shaker) ha tenuto discussioni con Khomeyni ed è dell’opinione che quest’ultimo è determinato nei suoi piani e sotto nessuna condizione desisterà dal perseguire i suoi obiettivi. Khomeyni, nel rispondere all’ammonimento di Shaker di interrompere le sue attività politiche ha dichiarato: “Io sono un politico e religioso, e non farò compromessi o rese sui miei punti di vista politici”. (11)
A causa delle pressioni del regime iracheno l’Imam Khomeyni decise di intraprendere la sua storica migrazione. Si dimostrerà una migrazione che avrebbe portato il suo lungo e duro cammino di opposizione ad una fine, una migrazione che misteriosamente entrò nella mente dell’Imam e portò la voce di un Marja Sciita giusto ad essere ascoltata nel cuore dell’Europa e attraverso il mondo occidentale. Sui motivi dietro questa decisione l’Imam Khomeyni affermò:
“…Volevamo andare inizialmente in Kuwait e poi in Siria…non avevamo progetti di andare a Parigi. Forse non avevamo voce in capitolo ed era la volontà di Dio che doveva essere compiuta”. (12)
Ad ogni modo, secondo i documenti esistenti e le confessioni di un comandante dell’aereonautica a Kermanshah, appena la Savak venne informata dell’imminente partenza dell’Imam da Najaf, se fosse entrato in Iran essi programmarono di rapirlo e di inviarlo in una destinazione non meglio specificata. Moqaddem, il capo della Savak, inviò un ordine al Capo delle Forze Armate che recitava: “…riguardo alla possibilità che il summenzionato (Ruhollah Khomeyni) possa entrare nel paese attraverso uno dei confini per via aerea o via terra, in questo caso lui e i suoi compagni devono essere condotti il più velocemente possibile ai quartier generale tramite elicottero o aereo militare. Cortesemente comunichi questo ordine agli ufficiali delle basi militari, delle basi aeree e alle pattuglie delle città di confine così da poter fornire la cooperazione necessaria ai servizi segreti e alle agenzie di sicurezza locali”. (13)
Dopo le discussioni senza esito tra il capo della sicurezza dell’Iraq e l’Imam, la sua casa a Najaf venne controllata dalle forze baathiste. L’Imam non arretrò dalla sua posizione e così la decisione unanime del Partito Baathista dell’Iraq fu quella di espellerlo. L’Imam Khomeyni decise quindi di lasciare l’Iraq per il Kuwait. Arrivato al confine col Kuwait e dopo ore di ritardo, il governo del paese arabo non diede il permesso di ingresso. L’Imam e coloro che erano con lui furono obbligati a tornare a Basra. La scelta successiva era la Siria, sebbene non si sapesse se il permesso per entrare sarebbe stato o meno concesso o se, una volta lì, gli sarebbe stato permesso di continuare le sue attività politiche. Una breve sosta in Francia avrebbe dato all’Imam la possibilità di parlare ai Musulmani in Europa e preparare il viaggio per un’altra nazione. Suggerii di andare in Francia e dopo molte considerazioni e dibattiti su molti altri paesi l’Imam annunciò la sua decisione di recarsi a Parigi. Alla fine il mattino del 5 ottobre 1978, l’Imam, il sottoscritto e molti seguaci lasciammo Baghdad alla volta di Parigi. (14) Alcuni scrittori non hanno riportato accuratamente i fatti ed hanno cercato di sostenere che la migrazione dell’Imam in Francia venne influenzata da alcuni gruppi o individui, il che non è vero. La verità è quella che l’Imam affermò alla fine del suo testamento:
“Alcuni sostengono di aver influenzato la mia decisione di recarmi a Parigi; questo non è vero. Dopo essere ritornato dal Kuwait, ebbi delle discussioni con Ahmad e scelsi Parigi perché era possibile che i paesi islamici non mi avrebbero permesso di entrare. Essi erano influenzati dallo Shah ma questo non era il caso di Parigi”.
Appena l’Imam entrò a Parigi dei rappresentanti dell’Eliseo lo incontrarono e gli consegnarono un messaggio ufficiale da parte del governo francese che gli proibiva ogni tipo di attività politica. L’Imam replicò con lo stesso tono risoluto utilizzato con le autorità irachene e disse:
“Pensavo che qui fosse diverso dall’Iraq. Parlerò ovunque mi troverò. Viaggerò da aeroporto ad aeroporto e da città in città onde far conoscere al mondo che tutti gli oppressori del mondo hanno unito le loro mani affinché i popoli del mondo non ascoltino la voce della nostra oppressa nazione. Ma io farò giungere la voce del coraggioso popolo dell’Iran alle orecchie del mondo. Dirò al mondo cosa sta accadendo in Iran”.
Le mosse francesi per impedire all’Imam di continuare lì le sue attività provocarono una forte reazione. Il Presidente della Francia Giscard d’Estaing e altri esponenti francesi vennero inondati di telegrammi e lettere da personalità e circoli politici e religiosi, da studenti e ulamà sia dall’interno che dall’esterno del paese, che chiedevano che alla Guida della Rivoluzione venisse permesso di proseguire le sue attività. La popolarità dell’Imam e la pressione pubblica portarono le autorità francesi ad adottare una posizione meno restrittiva, sebbene esse non annunciarono mai questa posizione.
L’Imam Khomeyni lavorò molte ore nella sua residenza a Neauphle-le-Chateau, un sobborgo di Parigi. Egli guidò il processo della Rivoluzione passo dopo passo attraverso i discorsi che ripetutamente teneva agli studenti e ad altri visitatori, attraverso le sue numerose interviste e le molte direttive emanate sulla situazione in Iran. A quel tempo l’Iran l’occupava i primi titoli dei notiziari del mondo.
Nel frattempo, all’interno del paese, il governo di riconciliazione nazionale guidato da Sharif Emami – una delle pedine britanniche più esperte e Gran Maestro della Frammassoneria – non poté fare nulla per aiutare il regime dello Shah di fronte alla risoluta posizione dell’Imam e al sostegno popolare che possedeva.
Durante il suo breve incarico venne realizzato il massacro sanguinoso dell’8 settembre (17 Sharivar), il disastro della Moschea del Venerdì di Kerman, venne imposta la legge marziale e le carneficine ebbero luogo in molte città della nazione. Gli scioperi nazionali raggiunsero il picco. L’Imam Khomeyni, in una dichiarazione rilasciata in occasione del massacro dell’8 settembre disse:
“O, se solo Khomeyni avesse potuto essere con voi al vostro fianco sul campo di battaglia e morire per Dio Altissimo. O popolo dell’Iran! Sii sicuro che presto o tardi la vittoria sarà tua”.
Con l’inizio delle annuali sessioni scolastiche e universitarie, gli scioperi dei centri culturali ed educativi aumentano la crisi del regime. Nell’anniversario della deportazione dell’Imam, il 4 novembre 1978, grandi dimostrazioni si tengono all’interno e intorno all’Università di Teheran. Gli slogan “Morte allo Shah” e “Morte all’America” da parte di decine di migliaia di giovani delle scuole e di studenti universitari rivelarono che il discorso dell’Imam contro le Capitolazioni di quattordici anni prima aveva dato nuovi frutti. Col giungere del tempo della Preghiera di mezzogiorno le strade, con l’aggressione ai dimostranti da parte degli agenti del governo, divennero teatro di uno spargimento di sangue. Il giorno seguente il governo di Sharif Emami venne destituito e un governo militare ufficialmente installato. Il Generale Azhari, meglio conosciuto come il “macellaio di Teheran” a causa delle sue spietate uccisioni condotte nel mese di Muharram, venne incaricato di formare un governo. A seguito della caduta del governo di Sharif Emami, in un messaggio l’Imam Khomeyni ringraziò il popolo dell’Iran e annunciò:
“Miei cari connazionali, abbiate pazienza perché la vittoria finale è vicina e Dio è con i pazienti”.
Il mese di Muharram 1978 arrivò. Il popolo iraniano una volta ancora manifestò il proprio amore per il Principe dei Martiri [l’Imam Husayn, ndt], un amore che era stato preservato e trasmesso nel corso dei secoli da cuore in cuore. Nella prima sera del mese di Muharram, alle ore 21, su suggerimento dei sapienti religiosi seguaci dell’Imam, le genti in tutto l’Iran salirono sui tetti e gridarono Allah’u Akbar (Dio è il Grande) e “Morte allo Shah” mentre ufficiali della polizia sparavano in aria senza mirare. La gente allora scese nelle strade per manifestare e furono molto a rimanere uccisi e feriti.
Per l’occasione in un messaggio dell’Imam disse:
“Una nazione che si solleva con consapevolezza e accortezza e riconosce il suo Movimento come religioso e divino, ride di fronte a queste armi arrugginite. Questa grande nazione è seguace dei grandi uomini nella storia che, con solo pochi seguaci, hanno portato al grande movimento di Ashura che seppellì per sempre la dinastia degli Omayyadi nel cimitero della storia. A Iddio piacendo questa cara nazione e i seguaci dell’Imam Husayn (as) seppelliranno allo stesso modo questa debole dinastia Pahlavi e innalzeranno la bandiera dell’Islam non solo nella nostra nazione ma in tutto il mondo”.
In questo messaggio, mentre incoraggiava la continuazione degli scioperi e delle dimostrazioni fino alla caduta del regime, l’Imam Khomeyni chiese inoltre ai soldati di abbandonare le caserme militari. Presto, folle di soldati iniziarono a lasciare le loro caserme, sferrando così un altro corpo mortale contro la roccaforte più strategica del regime. La rivolta si diffuse anche tra le guardie speciali dello Shah, con molti ufficiali di guardia che stazionavano nella base militare di Lavizan che nell’anniversario di Ashura vennero uccisi dai soldati rivoluzionari. Seguendo i messaggi dell’Imam Khomeyni nei giorni di Tasu’a e Ashura una grande manifestazione organizzata dall’Ayatullah Taleqani e dall’“Associazione dei Sapienti Rivoluzionari di Teheran” venne indetta nella capitale, alla quale parteciparono tra i tre e i quattro milioni di persone. Questa manifestazione costituì difatti un referendum non ufficiale indetto dalla gente a sostegno dell’Imam e in opposizione allo Shah. Non vi era altro modo per Azhari di dimostrare l’autorità del governo nella nazione se non con l’utilizzo di carri armati e mitragliatrici. Quasi tutti i dipartimenti governativi chiave e i settori industriali, commerciali e culturali del paese erano in sciopero. Le dimostrazioni e gli scontri tra la polizia e la popolazione continuavano giorno e notte.
Gli impiegati della Banca Centrale pubblicarono allora i conti dei mese di Settembre e Ottobre del 1978, annunciando che oltre 130 miliardi di rial in valuta straniera erano stati portati fuori dalla nazione da persone legate al regime. Notizie di questo tipo causarono una corsa alle banche, paralizzando l’economia del regime. Il governo militare aveva annunciato precedentemente che gli operai in sciopero non avrebbero ricevuto i loro salari, così l’Imam ordinò di costituire dei comitati che offrissero sostegno a coloro che scioperavano. In una manifestazione tenutasi a Mashhad centinaia di persone vennero ferite o uccise. La dichiarazione di innocenza televisiva dello Shah e la pubblica apologia vennero rifiutate dalla nazione. A quel punto, secondo i suoi stretti collaboratori, lo Shah iniziò a perdere completamente il controllo e cercare servilmente aiuto dagli ambasciatori americano e inglese, mentre al contempo il governo militare era dolorante per la sconfitta subita. Una volta ancora vi furono discussioni sul sostituire Azhari con qualcuno all’interno del Fronte Nazionale. In un’intervista l’Imam denunciò chiunque avesse negoziato con lo Shah, e affermò che chiunque avesse accettato il governo dello Shah sarebbe stato considerato corresponsabile e traditore.
Alla fine, dopo negoziati segreti a Guadalupe tra i capi di tre paesi europei (Francia, Gran Bretagna e Germania) e il Presidente degli Stati Uniti, venne deciso che Shahpour Bakhtiar fosse l’ultima speranza dell’Occidente. Quando il Generale Huyser giunse in Iran, le attività coperte raggiunsero l’apice e il 3 gennaio 1978 gli Stati Uniti, credendo di poter ripetere il colpo di Stato del 28 Mordad [che destituì Mosaddeq e riportò al potere lo Shah, ndt], designarono un ministro del governo Mosaddeq che era membro attivo del Fronte Nazionale, di nome Bakhtiar, come Primo Ministro. Tredici giorni dopo lo Shah scappò dal paese come pianificato precedentemente. Il portavoce della Casa Bianca e il Ministro degli Esteri britannico chiesero quindi ufficialmente il sostegno dei militari iraniani a Bakhtiar, e il Generale Huyser divenne responsabile per l’organizzazione delle forze militari in Iran (15). L’Imam Khomeyni ignorò i rinnovati avvertimenti del governo francese. Dopo la fuga dello Shah, il Consiglio di Reggenza, che non aveva alcun significato oltre al fatto di avere un nome e aver indetto un incontro, prese apparentemente in carico i doveri dello Shah. La posizione adottata dall’Imam, comunque, causò prestò il dissolvimento di questo Consiglio e le dimissioni del suo capo (16).
In una dichiarazione contenente dieci punti rilasciata in occasione dell’Arbain Husayni (il quarantesimo giorno di lutto per il martirio dell’Imam Husayn), l’Imam Khomeyni enfatizzò l’importanza di formare un consiglio rivoluzionario in Iran e conseguentemente le dimostrazioni per commemorare Arbain furono più imponenti di quelle precedenti. Nel messaggio citato l’Imam Khomeyni affermò:
“Lo Shah se ne è andato e il regime imperiale è collassato. I ladri sono fuggiti ed hanno trasferito i soldi appartenenti al popolo all’estero. Questa coraggiosa nazione farà i suoi conti con loro alla prima opportunità…a Iddio piacendo mi unirò a voi in Iran molto presto. Avverto quei rappresentanti di Mohammad Reza Shah che hanno illegalmente occupato il Parlamento di lasciare questa casa nazionale…coloro che nel Consiglio Reggente costituiscono una parte dell’intero sistema illegale vengono nuovamente intimati di consegnare le loro dimissioni.”
E’ degno di nota che la formazione del Consiglio di Reggenza era sostenuta dal Fronte Nazionale, dai Liberali e da coloro che favorivano una politica attendista. Molte di queste persone cercarono invano di cambiare l’opinione dell’Imam rispetto al Consiglio ma l’incrollabile fermezza e l’acuto intuito dell’Imam erano lungi dal poter essere influenzati da simili proposte e argomenti.
La sollevazione popolare era finalmente vicina ai gloriosi giorni della vittoria. Le notizie del ritorno dell’Imam nella sua patria rapirono i cuori di milioni di uomini e donne. Folle di persone inondarono Teheran da varie città per dare il bentornato a casa all’Imam.
Bakhtiar ordinò la chiusura degli aeroporti. Allora una moltitudine di manifestanti inondarono le strade da Via Enghelab a Piazza Azadi gridando che se fosse stato impedito il ritorno dell’Imam avrebbero fatto ricorso alla lotta armata. I sapienti religiosi e gli insegnanti rivoluzionari dei seminari teologici si radunarono nella Moschea dell’Università di Teheran a cui si unirono presto molti gruppi differenti e illustri personalità. Il governo venne quindi obbligato ad arretrare, e l’ordine di chiudere gli aeroporti venne ritirato.
Dopo molti anni di lotta, finalmente l’aeroplano che trasportava la Guida della Rivoluzione più autentica e vasta di sempre – una Rivoluzione contro cui erano insorti tanto l’Oriente quanto l’Occidente – atterrò all’aeroporto Mehrabad a Teheran alle 9.30 del 1 Febbraio 1979, mettendo fine a quindici anni di lunga attesa della nazione.
In quella che è stata definita come una delle più grandi cerimonie di benvenuto di tutti i tempi, l’Imam tenne un breve discorso all’aeroporto e poi proseguì per il cimitero Behesht-e Zahra. L’automobile che portava l’Imam procedeva lentamente tra la folla che riempiva la strada che conduceva dall’aeroporto al cimitero. Ma la folla che attendeva al cimitero era tale che l’Imam dovette atterrare in elicottero. Una volta lì, l’Imam tenne uno storico tagliente discorso che non verrà mai rimosso dalla memoria del popolo iraniano.
Non erano ancora trascorsi dieci giorni dall’arrivo dell’Imam quando giunse la vittoria finale. Durante questi dieci giorni, chiamati “I dieci giorni dell’Alba”, masse di sostenitori dell’Imam giunsero da tutta la nazione per vederlo nella scuola Alavi e Refah (dove risiedeva l’Imam) e per prestargli alleanza e supporto. Il giuramento di alleanza all’Imam degli ufficiali militari l’8 febbraio fu eccezionale e indicò la sicura caduta del governo dello Shah, mentre i consiglieri politici e militari americani nel frattempo erano occupati nel pianificare i loro progetti subdoli e mortali finali.
Alla base dell’aeronautica, che era precedentemente il centro della potenza e potere americano, le forze religiose e rivoluzionarie si unirono lì per la rivolta. La sera del 10 febbraio venne dichiarata la legge marziale. Secondo i resoconti forniti dalle persone di primo piano del regime dello Shah che vennero arrestate – resoconti che vennero verificati attraverso certi documenti – era stato deciso di reprimere la rivolta attraverso un massacro sanguinoso. Pertanto carri armati e veicoli armati scesero in strada. Ma l’Imam realizzò una mossa cruciale che sventò ogni piano finale intrapreso dagli Stati Uniti e dal loro governo fantoccio in Iran. Il seguente messaggio impartito dall’Imam raggiunse quindi immediatamente la popolazione:
“L’annuncio oggi della legge marziale è un trucco ingannevole che contravviene la Legge religiosa, e la popolazione deve ignorarlo”.
In breve tempo folle di uomini e donne costruirono barricate nei vicoli, strade e aree strategiche di Teheran con migliaia di sacchi di sabbia e cose simili. Iniziarono le battaglie e in meno di ventiquattro ore le roccaforti del regime caddero una dopo l’altro finché alla fine (la radio) “La Voce della Rivoluzione” annunciò che la vittoria finale del sollevamento del 15 Khordad da parte dell’Imam e della nazione, dichiarando la caduta del taghut al mondo.
I numerosi e devastanti eventi che ebbero luogo tra la mattina del 12 febbraio 1979 e il 3 giugno del 1989 [giorno della morte dell’Imam Khomeyni, ndt] sono troppo complicati e numerosi per essere raccontati in questa introduzione: eventi nei quali gli Stati Uniti giocarono un ruolo centrale con il sostegno unanime dei governi occidentali e sovente dell’Unione Sovietica, godendo inoltre all’interno dell’Iran del sostegno di numerosi gruppi di destra e di sinistra che si erano uniti nel combattere contro la Rivoluzione Islamica. Questi eventi includono la formazione di bande armate all’interno della nazione; gli scontri e i disordini nelle aree del Gonbad e del Kurdistan; le sinistre attività del Partito Khalq-e Musalman; il tradimento di Bani Sadr e dei liberali; la crudele uccisione dell’Ayatullah Beheshti e di 72 intimi seguaci dell’Imam; il martirio di Bahonar [allora Primo Ministro, ndt], di Rajavi [allora Presidente della Repubblica] e quella delle Guide delle Preghiere comunitarie (Shuhada-ye Mehrab); le attività terroristiche dei Munafiqin; gli otto anni di Guerra Imposta totalmente sostenuta dai paesi tanto del blocco orientale quanto del blocco occidentale; i bombardamenti delle città, delle installazioni petrolifere e dei luoghi di rilevante importanza economica; il boicottaggio politico ed economico e l’embargo sulle armi imposto all’Iran da molti alleati degli Stati Uniti e dell’Occidente; i tentativi di colpo di Stato; e le ondate di propaganda occidentale contro il nuovo ordinamento stabilito in Iran.
E’ sufficiente dire che ognuno di questi incidenti o degli eventi e cambiamenti che avevano luogo a quel tempo intorno al mondo, avrebbe potuto deviare il corso della Rivoluzione e forse infine distruggerla. Per la Grazia di Dio, per l’acuta percezione dell’Imam e per la lealtà e consapevolezza della nazione iraniana, tutti i complotti vennero sventati e il 1989, quando la nazione offrì il suo ultimo saluto alla sua Guida, dopo aver tollerato molte difficoltà nel corso dei precedenti undici anni, la folla presente era infatti molte volte maggiore di quella che diede il bentornato in Iran all’Imam: l’amore e devozione del popolo era enorme, la sua determinazione a continuare il sentiero dell’Imam era solida e nonostante tutti i complotti ed eventi, il loro morale e lo stato della Rivoluzione più forte di prima. (17)
La presente opera, intitolata Kawhtar (18), è una raccolta dei discorsi di un grande uomo che, attraverso la sua fede in Dio e nell’Islam e nel ruolo della popolazione, ha intrapreso una lunga lotta che egli ha guidato con grande risoluzione attraverso ognuna delle sue numerose fasi, compiendo i sacrifici necessari richiesti dalla situazione. Il motto: “Martirio e la vittoria del sangue sulla spada” ha sconfitto tutte le armi moderne. Mentre lo sguardo del mondo e di tutti i nemici della religione era rivolto verso la miscredenza totale, l’Imam Khomeyni stabilì un governo islamico e indipendente; ha dato dignità all’Islam e ai musulmani; ha esposto i seguaci dell’“Islam” americano e prodotto una rivoluzione e una profonda rinascita nei cuori di milioni di musulmani che erano stanchi degli oppressori; ha chiarito quelle credenze e formalità che erano basate sull’incomprensione, rivelandone invece la loro vera essenza; ha ravvivato il rito della “Dissociazione dai politeisti” che si realizza durante le cerimonie abramiche dell’Hajj; ha messo in pratica la politica del “Né Oriente, né Occidente” ritenendola l’unico mezzo di sopravvivenza per il Terzo Mondo, e ha basato la sua politica sui fondamenti della Repubblica Islamica, insegnando agli altri lo stesso; ha denunciato gli Stati Uniti come il grande nemico dell’umanità e il grande Satana di questo secolo; ha chiamato le nazioni a sollevarsi in opposizione al Faraone del nostro tempo e a distruggere il potere di dominio degli USA; ha dato dimostrazione della lezione della perseveranza e della fermezza di fronte alla tiranni dalle superpotenze; ha ravvivato le questioni abbandonate della difesa e della lotta sulla Via di Dio (jihad) nelle terre islamiche dell’Iran, della Palestina, dell’Afghanistan, della Penisola Arabica e dell’Algeria; in un’epoca nella quale il materialismo era la scuola di pensiero dominante, ha manifestato la spiritualità, mostrando l’esistenza della virtù e della gnosi e delle realtà che sono al di là delle spiegazioni materialiste; ha emesso il responso giuridico di condanna a morte di Salman Rushdie per il vilipendio di tutte le sacralità dell’Islam, sollevandosi di fronte a tutte le minacce americane e occidentali; ha annunciato al mondo la caduta del marxismo prima che qualsiasi altro la considerasse possibile; ha instillato fiducia in se stessi e il desiderio di tornare all’identità islamica nelle società islamiche e specialmente alle giovani generazioni; ha definito la lotta tra povertà e ricchezza “il jihad dei virtuosi e degli oppressi”, dando maggior valore al capello di una persona che vive nelle baracche rispetto a quelli di tutti coloro che vivono nei palazzi. Il suo obiettivo è sempre stato la difesa degli oppressi e quello di spazzare via la povertà, e la sua ambizione era liberare la Palestina dagli artigli dei sionisti. Egli credeva nella Wilayat al-Faqih come il modo più giusto per governare una società e la sola via per stabilire la vera giustizia.
Grazie agli insegnamenti e sforzi dell’Imam Khomeyni, il presente slancio e crescente espansione del puro e inalterato Islam – o “fondamentalismo islamico” come definito dai nemici – è adesso qualcosa che viene discusso seriamente come un fatto innegabile nei circoli politici e culturali mondiali. Senza dubbio la futura cultura e civiltà dell’Islam è indebitata alla guida dell’Imam e ai sacrifici fatti dalla nazione iraniana del suo tempo più che a ogni altra cosa.
Ogni pagina dei suoi scritti e discorsi è un ricordo della sua prolungata sofferenza e la sua determinata lotta contro i vari ostacoli e pensieri deviati.
O Dio, aiutaci a rimanere saldi sulla linea dei principi ed obiettivi dell’Imam che sono stati attestati dal sangue di decine di migliaia di martiri. Possa la grande nazione dell’Iran – che non ha mai vacillato, prendendo con dolcezza tutte le amarezze – testimoniare i frutti sorti dalla sua sollevazione, il quotidiano avanzamento dell’Islam e il raggiungimento dei nobili obiettivi dell’Imam.
NOTE
1) La parole tradotta qui come “agenti stranieri” – va-bastaha (dipendenti) – non implica che gli individui in questione si siano formalmente messi a disposizione delle potenze straniere. Sono piuttosto collegati a queste potenze attraverso la loro attitudine e il loro modo di pensare, che tende a facilitare il dominio straniero.
2) La relazione tra insegnare filosofia e lavare la brocca risiede nelle norme giuridiche della najasat (sostanze impure) e mutaharat (agenti purificanti). Poiché l’Imam insegnava filosofia, veniva visto da alcuni come kafir o ateo, ritenendolo quindi najis (impuro). Si ritiene che quando un oggetto impuro entra a contatto con un altro oggetto, se uno o entrambi sono umidi, diventano entrambi impuri. L’oggetto impuro può allora diventare puro solo attraverso un agente purificante come l’acqua, che deve essere applicato all’oggetto in una maniera ritualmente stabilita.
3) Cfr. la fotocopia dei documenti della Savak nel libro intitolato Mahiyat-e Zedd-e Enghelab-e Anjoman-e Hojjatiyyeh ra Beshenasim, documento n. 2, pag. 69 e documento n. 3 pag. 70 (pubblicato dall’Istituto delle opere dell’Imam Khomeyni).
4) Riferimento alla dichiarazione dell’Imam Khomeyni del 4 luglio 1978 (13 Tir 1357 AES).
5) Cfr. copia del documento della Savak in Shari’atmadari Dar Dadgah-e Tarikh, pp. 56-72
6) Ibid.
7) Velayat: per approfondimenti sul concetto di Velayat (persianizzazione dell’arabo Wilayat) cfr. i seguenti articoli: Tag