Bombardamenti lungo il confine tra India e Pakistan
(Pars Today Italian) – Uno scontro a fuoco avvenuto lungo il confine tra l’India e il Pakistan ha ucciso 3 civili indiani e ferito 2 civili pakistani, secondo le dichiarazioni dei rispettivi ufficiali militari.
Le truppe indiane e pakistane si sono scambiate colpi di mortaio e artiglieria lungo la cosiddetta Linea di controllo (LoC), la frontiera de facto che divide la contesa regione del Kashmir. I combattimenti sono iniziati sabato 11 ma si sono protratti fino a domenica 12 aprile. Secondo quanto riferito all’agenzia di stampa Reuters dal capo della polizia del Kashmir, Vijay Kumar, le truppe pakistane hanno iniziato l’offensiva prendendo di mira i civili che vivono vicino al LoC, uccidendo 3 persone, tra cui un bambino e una donna, e ferendone 5. Il Pakistan accusa le truppe indiane di ripetute violazioni dell’accordo di cessate il fuoco, stipulato nel 2003, e di continui attacchi contro i civili del Kashmir. Dall’altra parte, un tweet del maggiore generale Babar Iftikhar, appartenente al dipartimento di pubbliche relazioni dell’esercito pakistano, ha dichiarato che 2 civili pakistani sono rimasti feriti a causa di bombardamenti indiani. Entrambe le parti rivendicano la propria sovranità sull’intera regione e si accusano a vicenda di aggressioni armate lungo la Linea di controllo. Il 9 aprile, l’esercito pakistano aveva dichiarato di aver abbattuto un piccolo drone di sorveglianza indiano nella regione del Kashmir amministrata dal Pakistan. Secondo una dichiarazione dell’esercito di Islamabad, il velivolo indiano abbattuto aveva percorso circa 600 metri oltre il confine informale che separa i territori del Kashmir.I combattimenti transfrontalieri, dunque, sembrano essere ripresi nonostante entrambi i Paesi siano impegnati a frenare la diffusione del coronavirus.I dati forniti dall’esercito indiano mostrano 411 violazioni del cessate il fuoco da parte dell’esercito pakistano a marzo 2020, il numero più alto in un solo mese, dal 2018. In confronto, lo stesso mese del 2019 aveva visto 267 violazioni. Il Kashmir è una regione asiatica, a maggioranza musulmana, contesa tra l’India e il Pakistan. L’area è da decenni teatro di scontri, ma, a partire da agosto 2019, le tensioni si sono riaccese. In particolare, il 5 agosto scorso, il governo di Nuova Delhi ha deciso di abolire lo status speciale della parte indiana della regione, per ragioni di sicurezza, e ne ha ritirato l’autonomia dividendola in territori amministrati federalmente dall’India. Fino ad allora, la regione aveva avuto autonomia su tutte le questioni interne tranne la difesa, le comunicazioni e gli affari esteri. A seguito della rimozione dell’autonomia, dopo giorni di coprifuoco e dopo il blocco di internet e delle comunicazioni, il Kashmir è stato colpito da un’ondata di proteste, con i manifestanti che lanciavano pietre contro i militari. Il gruppo per la tutela dei diritti umani, Amnesty International, ha affermato che la situazione in Kashmir è “senza precedenti” nella recente storia della regione. Secondo l’organizzazione le detenzioni e la repressione del dissenso hanno contribuito a “diffondere paura e alienazione”. La repressione di agosto 2019 ha suscitato critiche internazionali diffuse. Una di queste è arrivata dalla leader tedesca, Angela Merkel, che ha dichiarato che la situazione in Kashmir “non è sostenibile”. Diplomatici di diversi altri Paesi hanno dichiarato di aver sollevato privatamente preoccupazioni sulla tutela dei diritti umani nella regione. L’accesso all’area per gli osservatori stranieri, compresi diplomatici, gruppi umanitari e giornalisti, è strettamente controllato. A nessun reporter era stato permesso l’accesso all’area per seguire le proteste dell’agosto 2019. Anche oggi, agli inviati stranieri vengono fornite scorte di polizia, apparentemente per la loro stessa sicurezza, secondo quanto ha riferito un diplomatico che ha visitato frequentemente la regione prima di agosto, e raramente ha ottenuto il permesso di viaggiare fuori dalla città principale di Srinagar. L’India accusa il Pakistan di addestrare e inviare militanti lungo il confine per lanciare attacchi e alimentare la crescita di un movimento separatista contro il dominio indiano. Il Pakistan nega di fornire supporto materiale ai militanti della regione ma dichiara di contribuire, con un sostegno morale e diplomatico, all’autodeterminazione del popolo del Kashmir.