USA, i complici dell’orrore nello Yemen - 2
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WASHINGTON - L’appoggio degli USA all'Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, nonostante i provvedimenti ricordati in precedenza, è proseguito in modo tale
(last modified 2024-11-17T06:24:12+00:00 )
Giu 29, 2022 21:12 Europe/Rome
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WASHINGTON - L’appoggio degli USA all'Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti, nonostante i provvedimenti ricordati in precedenza, è proseguito in modo tale

non avere alcun impatto sulle operazioni, né sulla limitazione del numero di vittime yemenite, nonostante la gravità dei crimini commessi e la complicità degli Stati Uniti siano state da tempo prese in considerazione da esponenti del governo americano. Alcuni documenti riservati resi pubblici in seguito a una richiesta della Reuters avevano ad esempio documentato le preoccupazioni sollevate dal dipartimento di Stato già nel 2015 per le “implicazioni legali” delle azioni di funzionari americani coinvolti nei programmi di assistenza ai regimi del Golfo. Anche un rapporto interno redatto nel 2020 dall’Ispettore Generale del dipartimento di Stato aveva concluso che la vendita all’Arabia Saudita di una partita di armi, oggetto dell’indagine, era avvenuta senza un’adeguata valutazione dei rischi né l’implementazione di “misure in grado di limitare le vittime civili” o “i rischi legali”.

I tentativi di far passare i crimini sauditi come azioni difensive, per cui Washington sarebbe in dovere di assistere Riyadh, sono ugualmente fuorvianti. Alla richiesta del Washington Post di commentare l’articolo sul coinvolgimento USA nella guerra nello Yemen, il portavoce del dipartimento di Stato, Ned Price, ha citato le “centinaia” di attacchi degli “Houthis” in territorio saudita. Questa giustificazione oscura completamente le cause e le responsabilità del conflitto, dal momento che le operazioni dirette contro l’Arabia Saudita e, per ora in misura minore, contro gli Emirati Arabi risultano puramente difensive e sono state inaugurate solo dopo anni dall’inizio della guerra.

Se non altro per una questione di immagine, resa più urgente dalle necessità della propaganda anti-russa in relazione al conflitto in Ucraina, ci sono evidentemente crescenti preoccupazioni nell’apparato di potere USA per la deriva della guerra nello Yemen. La stampa ufficiale in Occidente sta facendo di tutto per limitare al minimo l’esposizione dei crimini commessi dai sauditi con la complicità di Washington, così come di Londra o Parigi. La gravità della situazione è tuttavia chiarissima e le stesse Nazioni Unite hanno più volte dato conto della tragedia a cui è sottoposta la popolazione yemenita dal 2015.

Mentre il governo americano e altri paesi alleati accusano Putin e la Russia di genocidio in Ucraina, dove al contrario non si è vista finora una campagna di bombardamenti a tappeto proprio per limitare le vittime civili, un rapporto ONU dello scorso novembre stimava in 377 mila i morti provocati direttamente o indirettamente dall’aggressione saudita nello Yemen. Le vittime potrebbero salire addirittura a 1,3 milioni entro il 2030, in conseguenza delle disastrose condizioni economiche, sociali e sanitarie prodotte dalla guerra.

Stime estremamente conservative citate dal Washington Post indicano come la sola campagna saudita di bombardamenti aerei abbia ucciso direttamente 15 mila persone nello Yemen e la grande maggioranza delle operazioni abbia avuto come obiettivi edifici civili. Le bombe della coalizione del Golfo hanno colpito, tra l’altro, scuole, ospedali, banchetti di matrimoni, moschee, fabbriche, impianti di depurazione idrica e molti altri obiettivi di nessun interesse militare. Sofferenza, malattie, malnutrizione e morte sono state causate deliberatamente anche da un durissimo embargo che ha in larga misura impedito l’ingresso nello Yemen di cibo, medicinali, carburante e altri beni di prima necessità.

La partecipazione americana ai crimini sauditi nello Yemen dipende in primo luogo dalla storica alleanza tra questi due paesi, a cui si deve aggiungere il principale obiettivo strategico perseguito da Riyadh nel conflitto, ovvero il tentativo di indebolire la posizione regionale dell’Iran, la cui collaborazione con gli “Houthis” ha fatto passi da gigante dall’inizio della guerra nel 2015. La monarchia wahhabita ha potuto inoltre continuare il massacro della popolazione yemenita in maniera più o meno indisturbata, cioè senza ostacoli significativi imposti dagli USA, grazie agli sviluppi internazioni di questi ultimi mesi.

L’amministrazione Biden si è vista cioè costretta ad abbandonare sempre più la linea (relativamente) dura che a inizio 2021 aveva spinto l’allora neo-presidente americano ad annunciare di voler fare dell’Arabia Saudita un “paria”. Soprattutto il conflitto in Ucraina ha acuito le divergenze tra Washington a Riyadh, con il regime saudita che si è rifiutato sia di condannare Mosca sia di acconsentire alle richieste americane per aumentare la produzione di greggio e contenere l’impennata delle quotazioni dovute al quasi embargo imposto alla Russia.

Di fronte a un regime impegnato ad approfondire i rapporti con Mosca, sia in sede OPEC sia in una prospettiva più ampia da ricondurre ai piani di integrazione euro-asiatica promossi dalla Cina, gli Stati Uniti si ritrovano ora a implorare l’erede al trono Mohammed bin Salman (MBS), con buona pace di quanti chiedono prese di posizioni più dure per i crimini nello Yemen o per l’assassinio di Jamal Khashoggi.

L’atteggiamento sprezzante iniziale di Biden, rifiutatosi a lungo di parlare direttamente con il vero detentore del potere a Riyadh, ha così lasciato il posto a una serie di recenti vertici e colloqui di altissimo livello per ricucire lo strappo e che hanno visto impegnati, tra gli altri, il segretario di Stato Anthony Blinken e il direttore della CIA, William Burns. La marcia indietro della Casa Bianca e l’apoteosi dell’ipocrisia USA saranno infine suggellate definitivamente dalla visita in Arabia Saudita, annunciata nei giorni scorsi e in programma nel mese di luglio, dello stesso presidente Biden.

 

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