Germania: Putin e Trump s’incontrano al G20 della Merkel
BERLINO- Putin e Trump si sono finalmente incontrati giovedì; un summit preceduto da un faccia a faccia fra il Segretario di Stato Tillerson ed il Ministro degli Esteri Lavrov,
programmato per 35 minuti e protrattosi per 2 ore e 16 minuti, interrotto solo dall’intervento di Melania Trump che non voleva perdere la IX^ sinfonia di Beethoven suonata dalla Elbphilarmonie, e che ha fatto slittare a lungo l’incontro del Presidente russo col premier giapponese Shinzo Abe.
In realtà, vista lo stato dei rapporti, non c’era stata alcuna seria preparazione all’evento e, malgrado i tanti, tantissimi temi sul tappeto, neppure una vera agenda concordata; stando alle indiscrezioni, il Cremlino non metteva in conto nulla dall’incontro, salvo sondare la posizione di un Presidente notoriamente posto sotto scacco dall’establishment Usa. Ed è per questo che l’incontro fra Putin e Trump era di per se stesso squilibrato, con il primo che può vantare una presa totale sulla sua Amministrazione e un gradimento fra i Russi che supera di molto l’80%, ed il secondo minacciato dalla fronda aperta dello Stato profondo Usa, con un gradimento inferiore al 40%.
Tuttavia, fra i due c’è stata subito un’intesa manifesta con un profluvio di reciproci complimenti. I temi da trattare erano tanti, probabilmente troppi, ma fra Putin e Trump è stato assai più di un incontro formale, e il fatto che il secondo abbia iniziato contestando a Putin le supposte ingerenze nelle elezioni americane non deve fuorviare; per il Presidente Usa, braccato dalle inchieste sul Russiagate (e che per questo fino al giorno prima aveva tuonato da Varsavia contro Mosca), era un passo obbligato, e la dice tutta il fatto che si sia limitato ad accettare le dichiarazioni di estraneità di Putin.
Il cuore delle questioni è venuto dopo: la Corea è stata oggetto di discussioni; si tratta di una crisi che le politiche muscolari di Washington minacciano di fare degenerare in modo disastroso, e per trovare una qualche soluzione gli Usa hanno un disperato bisogno di una sponda che Mosca, più di Pechino che è una delle parti in causa, può offrire. Ma è stata sulla Siria che, a sorpresa, è venuta la dichiarazione di un accordo di massima, anticipato dall’Associated Press a vertice ancora in corso, e confermato subito dopo da Tillerson e Lavrov.
L’intesa fra Putin e Trump riguarda un cessate il fuoco nella Siria sud occidentale, un’area critica dove Damasco e i suoi alleati, lanciati alla rapida liberazione del territorio siriano, fronteggiano sempre più da vicino “ribelli” e le truppe Usa che li sostengono. Incidenti, anche gravi, si sono verificati già più volte e il rischio che possano degenerare in uno scontro frontale va crescendo.
Laggiù è in discussione la ragione stessa della guerra in Siria, con l’Asse della Resistenza intenzionato a liberare il confine con l’Iraq (già in vasta parte raggiunto) e l’interesse degli Stat Uniti a tenere separati Siria ed Iraq per tentare di spezzare l’arco sciita da Teheran a Beirut. Il fatto che fra Putin e Trump si sia giunti a ipotizzare un accordo, in cui per la prima volta in assoluto sono coinvolti Giordania e, assai più importante, Israele, evidenzia la necessità di Washington di uscire dal vicolo cieco in cui s’è cacciata.
Rientrare nei giochi in Siria attraverso un accordo fra Putin e Trump, tentando di salvare il salvabile, è una posta grossa per gli Usa (per intenderci: per il suo Stato profondo assai più che per il Presidente), ma è ovvio che nelle discussioni sull’Ucraina, argomento assai più importante per la Russia e su cui poco o nulla è trapelato, è ovvio che Putin abbia chiesto una sostanziale contropartita, che però Trump non può in alcun modo garantire, stretto com’è fra Congresso e Agenzie Federali.
Sia come sia, l’abbozzo di un accordo è assai più di quanto messo in conto, e svela la vera gerarchia del summit, con il Presidente Usa a chiedere e il leader del Cremlino a concedere con riserva. Infatti, fra Putin e Trump è il primo a vincere la partita a mani basse: a parte i risultati immediati, che come detto non erano in conto, Mosca incassa l’Uvazhenie, ovvero il rispetto e la considerazione sulla scena internazionale quale attore globale. I tempi in cui Obama definiva sprezzantemente la Russia una potenza regionale sono assai lontani, malgrado siano passati pochi anni.
Poche parole ancora per il G20; Merkel è stata la padrona di casa di un evento atteso quanto opaco, con la Germania costretta dai propri interessi a vestire (male e controvoglia) i panni inusuali di player internazionale, senza avere alcuna voglia di assumersene le responsabilità.
Gli sbandierati contrasti con gli Usa (clima, protezionismo, egemonia sull’Europa, etc.) restano tutti, ma sono contrapposizioni che vedono Berlino (e Pechino che coglie l’occasione per mettersi in scia) muoversi non come portatrice di un’idea forte (che non ha), ma unicamente in difesa del proprio utile stretto mascherato da parole ipocrite.
Che poi nessuno strappi quella finzione manifesta è solo perché l’inedito contrasto fra Trump e l’establishment accentua l’attuale debolezza degli Usa e, salvo eccezioni (vedi la Polonia, che tuttavia sulla scena internazionale conta assai poco per non dire nulla), fa tutti zitti in attesa dell’evolvere della situazione.
di Salvo Ardizzone
il Faro Sul Mondo