Nov 05, 2022 06:48 Europe/Rome
  • ONU condanna sanzioni unilaterali USA contro Cuba

NEW YORK - Con 185 voti contro due, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha approvato ieri venerdi' 4 novembre, la mozione che chiedeva la fine del blocco USA contro Cuba.

La comunità internazionale ha rifilato l’ennesima sberla alla politica statunitense contro Cuba, ammesso che politica possa essere definita la versione criminale dell’ostilità ideologica, la miscela di business, interessi elettorali, vendetta e rancore che costituisce il fondamento dell’agire statunitense verso Cuba. Il mondo intero ha ripetuto, per l’ennesima volta, alcuni concetti elementari che persino gli statunitensi dovrebbero riuscire a comprendere: che il blocco contro Cuba è una ignominia del diritto internazionale, che qualifica come banditi da strada i suoi ispiratori e che i paesi che sono membri delle Nazioni Unite, ovvero che si riconoscono nel consesso internazionale, sono dalla parte di Cuba. Che Cuba soffre un castigo immeritato ed infinito, che non ha ragioni, decenza e giustificazioni, che si basa solo sulla sete di vendetta dell’impero verso il primo territorio libero delle Americhe.

Che Cuba ha ragione l’intera comunità internazionale lo dice con un click. E’ un click poderoso, che scuote il Palazzo di Vetro e per un pochi momenti trasforma New York in patria del Diritto Internazionale. Un click che traduce le 6700 lingue e dialetti che si parlano sul pianeta: ognuno con la propria cultura, la propria storia e i propri assetti sociopolitici, ma tutti dicono SI, chiedono che il blocco genocida venga rimosso.

Quanto fatto dalla Casa Bianca contro Cuba durante la pandemia meriterebbe l’imputazione per crimini contro l’umanità del Presidente Biden. Ma nessun Paese avrà il coraggio di denunciare nei giusti termini giuridici la più grande ed estesa violazione dei diritti umani consumata dalla seconda guerra mondiale ad oggi.

Nella vita politica dei paesi, come in quella degli individui, ci sono momenti da interpretare, occasioni da cogliere, azioni da compiere per non trovarsi dal lato sbagliato della storia. Quella della votazione alle Nazioni Unite della mozione che Cuba presenta per chiedere la fine del blocco che affligge l’isola socialista dal 1962, è una di quelle occasioni che possono affondare o redimere. Ovvero che possono consegnarti alla protervia imperiale o, invece, consentirti di offrire il petto ad una battaglia di giustizia, di civiltà giuridica e di difesa dei diritti umani. Si può scegliere la ragione - come hanno fatto 185 paesi, quasi l’intera comunità internazionale - oppure affiancarsi alle ossessioni e all’odio USA, che ha nella diffusione in lungo e largo della sofferenza e del dolore altrui, la sua modalità di governo del mondo come terapia di contrasto alla decadenza imperiale.

L’orrore del blocco è politico per la sua connotazione ideologica, è umanitario per i danni spaventosi in economia e vite che Cuba patisce, ed è giuridico, per l’obbrobrio legale che lo sostiene. Quest’ultimo aspetto, sia chiaro, è parte importante della reazione della comunità internazionale.

Gli USA affermano che il blocco è un embargo e che, come tale, è scelta di politica interna statunitense, con ciò indicando una supposta inabilità dell’Onu al giudizio. Ma la pretesa nordamericana è ridicola. Perché se è vero che la scelta d’istituire il blocco è frutto di scelta politica interna statunitense, le innumerevoli conseguenze dello stesso riguardano l’intera comunità internazionale, colpita dall’extraterritorialità delle disposizioni previste dalle leggi Torricelli e Helms-Burton, che sono la cornice giuridico-legislativa con la quale l’aggressione all’isola caraibica si estende anche al resto della comunità internazionale, azzerandone così qualunque dimensione bilaterale per trasformarla in questione internazionale.

Vero è che il blocco è un insieme di leggi, norme e disposizioni interne degli Stati Uniti e, in questo senso, il fatto che si estendano al resto del mondo non ne muta la genesi; ma l’originaria disposizione di embargo decisa da Kennedy nel 1962 con il Proclama 3447, che ampliò le restrizioni commerciali varate da Eisenhower nell'ottobre 1960, è profondamente mutata nel corso dei decenni, assumendo un’aperta ed illegale connotazione extraterritoriale che la connota da anni come pirateria internazionale.

Per la sua extraterritorialità, per l’ossessivo, minuzioso dettaglio delle sanzioni (a Cuba e a terzi), oggetto dei numerosi dispositivi collegati, definire il blocco come embargo è falso, incongruo rispetto alle dimensioni, la durata e l’extraterritorialità dei provvedimenti e alle conseguenze che ha provocato e provoca all’isola e al resto della comunità internazionale. Per i suoi obiettivi, per la sua portata e per i mezzi impiegati per ottenerli, il blocco degli Stati Uniti contro Cuba si qualifica come un atto di genocidio in base a ciò che sancisce la Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 9 dicembre 1948, e come un atto di guerra economica, in base alla Conferenza Navale di Londra del 1909.

A sostenere il blocco, a dire sì alla prosecuzione di questo intreccio criminale e paranoico di decreti, leggi e norme che il democratico Biden ha ritenuto di dover ulteriormente inasprire con 246 atti amministrativi, sono stati gli Stati Uniti e Israele, accompagnati dall’Ucraina e dal Brasile, che hanno scelto di astenersi perché impossibilitati a sconfessare il loro neofascismo ma privi del coraggio per affermarlo senza fronzoli.

 

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