Visita di Xi a Riyadh, i timori di Washington
PECHINO - Il viaggio del capo di stato cinese Xi Jnping in Arabia Saudita, e la sua partecipazione alla prima edizione di due summit multilaterali ...
- uno tra Cina e paesi arabi e un altro tra Cina e Consiglio di Cooperazione del Golfo Persico, ha aperto un nuovo corso nelle relazioni tra Pechino e Riyadh con l’ufficializzazione di una partnership sulle Nuove Vie della Seta e su Vision 2030, i rispettivi programmi di sviluppo di lungo termine ideati dai due leader.
L’aumento dei legami politici, bilaterali come multilaterali, con iniziative strategiche congiunte e voti condivisi nelle organizzazioni internazionali come l’ONU, preoccupano gli USA, che vedono rischi per gli interessi statunitensi a lungo termine e, per certi aspetti, sono timori giustificati. Le intese raggiunte formano un quadro che interrompe significativamente l’esclusiva della relazione tra le monarchie del Golfo Persico e gli Stati Uniti. Per ruolo strategico, peso politico ed economico, così come per il volume degli accordi raggiunti e per la reiterata e reciproca disponibilità ad ampliarli ulteriormente, l’intesa tra Pechino e Riyadh assume valore generale nello scenario geopolitico globale.
Alla luce del nuovo quadro internazionale determinatosi con le sanzioni statunitensi ed europee alla Russia ed alle inevitabili ripercussioni sul costo dell’energia, così come per il posizionamento cinese e russo nello scacchiere orientale, in Asia e in Africa, gli accordi tra Pechino e Riyadh, assumono un maggior valore sia diretto che indiretto sugli equilibri internazionali.
Non a caso la preoccupazione della Casa Bianca segue i rovesci politici e diplomatici già subiti dapprima con il rifiuto da parte dei paesi del Golfo Persico di aderire alle sanzioni contro la Russia, poi con il rifiuto dell’Opec+ (cioè Opec più Russia) di aumentare la produzione del greggio nel Golfo Persico per coprire il fabbisogno occidentale ormai privo della quota russa di idrocarburi a causa delle sanzioni suicide contro il Cremlino.
Rovesci che sembrano parzialmente modificare l’assetto della relazione tra USA e Golfo Persico con i secondi nella veste di produttori di petrolio e alleati militari fedeli a Washington, e con quest’ultima nelle vesti di garante internazionale del dominio delle case reali sull’area più ricca del pianeta. Una relazione complessa e non priva di contraddizioni e di verità inconfessabili, ma che dal punto di vista di Riyadh ha permesso nel corso degli ultimi decenni la crescita militare e d’influenza delle monarchie del Golfo Persico, risultata profittevole anche per il contrasto all’Iran sciita. In cambio l’alleanza con Arabia Saudita, Kuwait, Qatar, Bahrein, Oman, ha permesso agli Stati Uniti il controllo militare dello stretto di Hormutz, dove transitano 21 milioni di barili giornalieri, il 40% del commercio mondiale del petrolio.
Come sempre, la perdita di influenza USA in qualunque area del pianeta viene presentata come un problema di sicurezza nazionale degli Stati Uniti e il Golfo Persico, ovviamente, non fa eccezione. Ecco allora in arrivo la democrazia, i diritti umani e via ciarlando, ma questo è il volto propagandistico della questione, quello vero è rappresentato dalla superiorità tecnologica cinese nel campo delle telecomunicazioni e nella Rete: la cooperazione di Ryad con la Cina sulla tecnologia 5G di Huawei è ciò che preoccupa gli USA.
Pechino ormai lavora con sul 6G mentre gli USA sono ancora alle prese con problemi di efficienza del 5G, e nel delicatissimo settore dell’intelligenza artificiale c’è una supremazia cinese consolidata. La possibilità che il Golfo Persico diventi parte del tragitto della nuova via della seta comporta di riflesso una presenza cinese non più circostanziale ma permanente, non più relativa ma determinante. Chiaro che se la punta di lancia della tecnologia trovasse accordi di crescita con quella della produzione di idrocarburi, si configurerebbe un equilibrio dove gli USA sarebbero ai margini.
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