L’effetto boomerang delle sanzioni Usa e Ue
WASHINGTON - Commentando l’impatto delle sanzioni di Stati Uniti e Unione europea su Russia per via del conflitto in Ucraina, si puo' dire che in questa crisi, l’aspetto peggiore per l’Occidente, ...
è proprio la verifica concreta di come le sue sanzioni, per dure e ampie che siano, hanno una efficacia limitata. In un mondo globalizzato ed interconnesso, in presenza di blocchi alternativi e con politiche difensive della propria sovranità economica, l’impatto delle sanzioni è riconducibile a turbolenze governabili. Si dimostra l’effetto boomerang dei dispositivi sanzionatori, che si sono riversati più sulle economie dei sanzionatori che su quelle dei sanzionati.
E’ notizia dolente per i meccanismi di coercizione che Stati Uniti ed Unione Europea utilizzano per piegare i governi resistenti. Il meccanismo sanzionatorio, dall’inizio degli anni ‘90 strumento di politica estera e commerciale, rivela la sua crudele inutilità. Anzi, proprio le sanzioni, illegali e unilaterali, abuso di posizione dominante, arma puntata contro 29 paesi che rappresentano il 73% della popolazione mondiale, hanno accelerato il processo di de-dollarizzazione, anche da parte di paesi un tempo amici.
Le sanzioni denunciano peraltro le truffe ideologiche che hanno contraddistinto la fase unipolare del comando capitalista. Il totem della globalizzazione è servito a dotare di una ideologia mercatista la conquista di mercati altrui; la competizione senza regole, mantra dell’ultraliberismo, è sempre valsa solo per il resto del mondo, così come le politiche prive di dazi, che erano ultraliberiste in export ma protezioniste nell’import. La presunta globalizzazione, la libera competizione in un unico e libero mercato mondiale, sono sempre state un imbroglio: all’aggressività nell’espandersi, gli USA hanno sempre affiancato uguale aggressività per impedire che anche gli altri paesi crescessero. Perché la libera competizione non esiste, per loro esiste il diritto occidentale anglosassone e il dovere del resto del mondo a riconoscerne la primazia. D’altra parte l’idea di continuare a dominarlo impedendo la crescita di altri è l’applicazione commerciale dell’imperialismo in forma militare.
C’è poi il capitolo relativo all’operazione militare in Ucraina ed alla paventata iniziativa diplomatica africana che viene definita “interessante”. Come ha spiegato il portavoce, Dmitry Peskov, «per noi il significato della frase “problema ucraino” è del tutto chiara. Non è apparsa all’improvviso lo scorso anno. Ha maturato per decenni. Riguarda la sicurezza del nostro Paese e le garanzie di sicurezza per il futuro, dell’esistenza di un centro che è apertamente ostile ai russi etnici e allo Stato russo alla nostra frontiera».
La situazione sul terreno preoccupa l’Occidente, perché nemmeno la famosa controffensiva risulta essere degna di nota sotto il profilo militare, sembra piuttosto un rilancio mediatico e propagandistico destinato alle opinioni pubbliche europee e statunitensi. Gli annunciati successi, per favorire i quali non hanno esitato a minare la diga di Kajovka non hanno ottenuto nessun risultato significativo. Come ha detto Putin, «Kiev non ha alcuna possibilità».
E se le forze di Kiev non possono avanzare, i governi occidentali non hanno più idea di cosa fare. Sessantasette mila soldati ucraini sono stati addestrati in 27 paesi NATO e oltre 200 miliardi di Dollari diretti sono stati consegnati a Kiev senza che questo abbia smosso l’operativo russo. Adesso è il turno dei caccia F-16 e dei missili Patriots, come prima lo è stato dei cannoni Himars e dei tanks Leopard, tutti definiti dalla propaganda mezzi che avrebbero potuto cambiare le sorti del conflitto. Niente da fare: i russi stanno dove stavano e l’esercito di Kiev è ridotto a poche decine di migliaia di effettivi assolutamente inutili per invertire le sorti del conflitto.
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