Shahr-e-Sukhte: la citta' bruciata, la misteriosa civilta' scoperta dagli italiani in Iran
(last modified Thu, 24 Mar 2016 10:03:02 GMT )
Mar 24, 2016 11:03 Europe/Rome
  • La scoperta della coppa con le 5 immagini della capra, la prima animazione della storia umana
    La scoperta della coppa con le 5 immagini della capra, la prima animazione della storia umana

TEHERAN (PARS TODAY) - Il numero di questo mese del mensile Daneshmand, la rivista scientifica piu' quotata dell'Iran ha dedicato un lungo dossier di 10 pagine a Shahr-Sukhte', il sito della Citta' Bruciata, una misteriosa civilta' esistita tra il 3200-1800 a.C.

Il dossier del mensile Daneshmand (lo scienziato), a cura della bravissima Hoda Arabshahi, parla delle ultime scoperte su questo sito archeologico favoloso ma anche su come esso venne alla luce, ovvero grazie al contributo di giovani e talentuosi archeologi italiani.

Dal numero di Daneshmand ecco l'articolo del professor Marcello Piperno, che racconta cosi' la storia della grande scoperta:

"Shahr-i Sokhta: la scoperta della necropoli

Il telegramma che mandammo da Zabol al Prof. Giuseppe Tucci era certamente riduttivo e diceva più o meno questo: scoperte 2 o 3 sepolture. Ve ne sono ancora oggi diverse migliaia in questa vasta necropoli  utilizzata dal 3200 al 1800 a.C. circa, ma quel giorno non lo sapevamo, e quindi meglio non sbilanciarsi. Non si vedeva nulla in quel pianoro di ghiaia: nessun avvallamento, nessun  rilievo per quanto piccolo, qualche  raro frammento di ceramica sparso qua e la. Chiunque avrebbe detto che era una vasta e  sterile porzione di Shahr-i Sokhta, di qualche decina di ettari. 

 

Ero lì, da giovane e inesperto archeologo appena laureato che voleva lavorare sulle origini dell’Uomo, affascinato dalle lezioni di Luigi Cardini, ma che venne reclutato dal nostro amico e collega Maurizio Tosi, allora da poco nominato responsabile della Missione promossa dall’IsMEO nel Sistan.

 

Era il 1972 e andammo, insieme a mia moglie Grazia Bulgarelli, anche lei giovane archeologa di scuola Cardini, soltanto per posizionare alcuni siti vicini a Shahr-i Sokhta. In quell’occasione Maurizio ci chiese di aprire un piccolo sondaggio di pochi metri quadrati per riconoscere la stratigrafia del tell, nella zona ritenuta appunto sterile.

 

Niente suggeriva qualcosa di interesse archeologico, ma trovammo le prime tre sepolture.

 

Procedemmo per così dire alla cieca. Espandendoci con trincee di scavo di 100 metri quadrati, a distanze sempre più importanti dal primo piccolo sondaggio, fino ad esplorare oltre 1100 metri quadrati.  Nessuno di questi scavi si rivelò sterile; in ognuno trovammo concentrazioni di sepolture di epoche e di strutture molto diverse fra loro: tombe a fossa semplice, tombe ripartite da un muretto di mattoni crudi, tombe a grotticella, tombe con complesse strutture di mattoni, tombe singole, doppie, multiple, con offerte di corredi di poco valore (uno o due recipienti in ceramica, spesso con originali decorazioni) o dove spiccava la ricchezza dei beni sacrificati (bronzi, oggetti in calcite, collane di corniola, di lapislazzuli e di turchese). Il tutto conservato sotto una spessa crosta di sale che aveva annullato in superficie ogni eventuale preesistente evidenza e che aveva permesso la conservazione, talvolta perfetta, di materiali deperibili: stuoie, capelli, sudari, legno.

 

Spesso i contenuti dei vasi erano ancora più sorprendenti e superavano per qualità e quantità il loro contenitore: collane, sigilli, spilloni e dischi di bronzo, interi capretti sacrificati accanto al loro proprietario.

 

Talvolta i corredi raccontavano l’attività del defunto: le tombe degli artigiani che lavoravano il lapislazzuli, il turchese o il calcedonio, erano provviste degli attrezzi del mestiere: trapani di diversi tipi, lamelle di selce, materie prime in corso di lavorazione, piccoli perforatori di selce che recavano spesso, ancora aderente, le tracce della polvere degli elementi di collana che avevano sbozzato e perforato.

 

Non meno importanti furono gli studi antropologici, dalla misurazione di tutte le parti anatomiche dopo opportuno restauro, allo studio sui caratteri somatici e antropometrici condotti sul vivo (i nostri operai), che dettero un valido contributo versando la loro saliva in piccole provette dalle quali studiare i gruppi sanguigni, opera in cui l’antropologo Edoardo Pardini si dimostrò estremamente efficiente, al rilevamento grafico delle sepolture e dei singoli oggetti di corredo, che dobbiamo a diversi bravissimi architetti e disegnatori (Enzo La Bianca, Bruno Polia, Luca Mariani), alla determinazione dei semi e dei carboni conservati all’interno dei vasi, compito del paleobotanico Lorenzo Costantini.

 

È , infine, impossibile non ricordare la pazienza dei miei veri amici, i tanti operai, suddivisi in squadre di due per ciascuna tomba, cui si deve la meticolosità dello scavo e il recupero di evidenze spesso appena visibili sul terreno. Altrettanto indispensabile fu la bravura dei restauratori che si alternarono nei diversi anni nella casa della missione, dove confluivano i reperti e dove i materiali riprendevano spesso, grazie ai loro interventi, la forma e i colori perduti nei millenni.

 

Marcello Piperno"

 

Courtesy: Daneshmand