Hariri ostaggio dei sauditi
di Ali Reza Jalali*
Pensavamo di aver visto di tutto, dai governi amici che da un giorno all’altro si trasformano in feroci dittature da abbattere (da Saddam a Noriega), da Stati teocratici e monarchie assolute del XXI secolo che vengono ribattezzati come “paesi moderati” (le petromonarchie del Golfo Persico), da “combattenti della libertà” che diventano terroristi islamici (Al Qaeda e i Talebani).
Ma ora dobbiamo segnare un nuovo evento nelle relazioni internazionali che non avevamo mai pensato di poter vedere: il rapimento di un premier da parte di un altro Stato, che contestualmente al rapimento impone al rapito di dare le dimissioni dal proprio incarico attraverso la tv ufficiale del governo rapitore.
E’ quello che è accaduto al primo ministro libanese Saad Hariri, il quale, in viaggio diplomatico presso il regno saudita, all’improvviso è apparso in tv (Al Arabiya) esternando le proprie dimissioni e dicendo di non voler tronare in Libano, formalmente per paura di un eventuale attentato contro la sua persona, intravedendo presumubilmente uno scenario simile a quello che avvenne anni fa per il padre, ucciso in un attacco terroristico in Libano.
Certamente questa è una “new entry” per quantro riguarda le relazioni internazionali: mai era successo nulla di simile. Certo, si erano visti governi in esilio, come quello francese a Londra durante la seconda guerra mondiale, ma nessuno ha mai riportato nei libri di storia nulla di simile a quello che sta avvenendo questi giorni sull’asse Beirut-Riadh.
La faccenda è talmente inverosimile che il presidente libanese Aoun ha detto che Hariri deve rientrare in Libano per spiegare il tutto, considerando congelate le dimissioni di Hariri, salvo chiarimenti e il suo repentino rientro in patria. Addirittura gli stessi membri del partito di Hariri si sono detti increduli, auspicando un immediato ritorno a Beirut del loro capo.
Formalmente Hariri dice di aver paura per la propria incolumità, accusando l’Iran di ingerenze in Libano, ovvero il colmo. Un premier libanese che si trova in Arabia Saudita e da Riadh rassegna le dimissioni che accusa un paese terzo di ingerenze: la barzelletta dell’anno.
Lo scenario sembra molto più complesso e riguarda lo scacchiere regionale. L’Isis ormai è sconfitto e anche il referendum curdo non ha avuto effetti. I sauditi, tra i principali sponsor dei due fallimenti appena menzionati, provano a giocare una nuova carta per contenere il potere regionale di Teheran, la carta del conflitto settario in Libano.
Sembra un goffo ed estremo tentativo di mettere in difficoltà in primo luogo la componente cristiana libanese, ago della bilancia nel gioco di potere del frammentato Paese dei cedri. Ma il presidente cristiano Aoun non ci è cascato, ordinando al premier di rientrare in patria immediatamente. La scusa del pericolo di attentati è del tutto infondata, visto che anche Al Sisi, di certo non un nemico per i sauditi, ha affermato che Hariri non corre pericoli in Libano.
Hariri sembra effettivamente ostaggio di Riadh e il suo rientro in patria di sua spontanea volontà è da escludere. Con la situazione venutasi a creare anche se dovesse rientrare in Libano, sarebbe costretto a dover rispondere del proprio atto sconsiderato, anche dinanzi ai propri alleati, i primi a essere rimasti increduli quando hanno visto le immagini di Hariri trasmesse da Al Arabiya.
Hariri non ha avuto la delicatezza di dare le dimissioni tramite la tv libanese, ma lo ha fatto tramite un canale straniero, uno smacco per la sovranità nazionale libanese. Inoltre a Riadh è in atto una purga contro gli oppositori interni del regime, oppositori però che sono anche parenti stretti della cricca ora al potere, il che getta un’ombra abbastanza inquietante sul futuro del regime stesso, non solo in preda a problemi regionali, ma nel bel mezzo di una guerra civile regale.
Il premier libanese fino a quando sarà ostaggio dei sauditi? La risposta non la sappiamo, ma quello che è certo è che Hariri farà la fine degli altri pupazzi sauditi degli ultimi anni, da Abu Bakr Al Baghdadi a Barezani. Hariri ormai, attentato o meno, politicamente è un morto che cammina.
*Ali Reza Jalali è docente universitario di diritto pubblico presso l’Università “Azad” di Shahrud (Iran)