Cina dona navi da guerra a Filippine e Sri Lanka
Pechino- La Cina donerà navi da guerra a Filippine e Sri Lanka, in un nuovo tentativo di rafforzare la propria influenza militare nella regione indo-pacifica.
La donazione di una fregata alla Marina dello Sri Lanka è stata annunciata la scorsa settimana dal colonnello Xu Jianwei, attaché per gli affari militari dell’ambasciata cinese a Colombo. L’Esercito popolare di liberazione cinese fornirà anche addestramento alle Forze armate singalesi, oltre a realizzare un auditorium presso l’Accademia militare dello Sri Lanka, ha dichiarato Xu durante un evento a Colombo nella giornata di ieri. Il portavoce della Marina filippina, comandante Jonathan Zata, ha invece confermato domenica che il paese riceverà quattro pattugliatori da Pechino. Le Forze armate filippine riceveranno anche dalla Cina 200 granate autopropulse (rpg) e munizioni di vario calibro, stando al quotidiano “Philippine Daily Inquirer”.
Nonostante la disputa irrisolta per la sovranità sul Mar Cinese Meridionale, nei mesi scorsi Pechino ha offerto aiuti militari a Manila per un valore complessivo pari a 14 milioni di dollari, perlopiù sotto forma di armi di piccolo calibro e piccole imbarcazioni per il pattugliamento; ufficialmente le donazioni sono destinate alle operazioni di contrasto al terrorismo di Polizia ed Esercito filippini. L’espansione della Cina nella regione indo-pacifica ha suscitato la preoccupazione dell’India e degli Stati Uniti, specie da quando Pechino ha ricevuto il porto di Hambantota in leasing dallo Sri Lanka per un periodo di 99 anni. Wang Dehua, esperto dell’Asia Meridionale presos lo Shanghai Municipal Centre for International Studies, ha ricordato in un’intervista al “South China Morning Post” che le relazioni militari tra Cina e Sri Lanka si sono intensificate dai primi anni Duemila, quando Pechino ha fornito assistenza nella campagna militare contro le Tigri Tamil.
Proprio in questi giorni il governo delle Filippine è tornato ad esprimere preoccupazione alla Cina per il crescente ricorso di Pechino a messaggi di avvertimento via radio contro le navi e gli aerei filippini che si avvicinano alle Spratly, l’atollo del Mar Cinese Meridionale rivendicato da entrambi i paesi. Un rapporto governativo pubblicato ieri afferma che soltanto nella seconda metà del 2017 velivoli militari delle filippine hanno ricevuto messaggi di avvertimento dalla Cina in almeno 46 occasioni, durante missioni di pattugliamento presso le isole artificiali edificate da Pechino nell’atollo conteso. Funzionari di Manila hanno già espresso preoccupazione alla Cina per i messaggi radio in due occasioni, incluso un incontro tra funzionari dei due paesi teso proprio a discutere l’annosa disputa territoriale. Il problema rappresenta una novità nel contesto della disputa, che segue l’intensa opera di militarizzazione dell’arcipelago conteso da parte della Cina. All’inizio gli avvertimenti erano inviati dalla Guardia costiera cinese, ma nei mesi scorsi sono state inviate direttamente dalle infrastrutture fisse che sorgono sull’atollo conteso.
Il presidente delle Filippine, Rodrigo Duterte, è tornato a subire nelle scorse settimane le pressioni dell’opposizione politica e di parte dell’opinione pubblica per la sua linea accomodante nei confronti di Pechino, due anni dopo il pronunciamento della Corte permanente di arbitrato dell’Aja che ha riconosciuto le rivendicazioni di Manila nel Mar Cinese Meridionale. Durante un forum organizzato questo mese dal think tank Stratbase Adr Institute, l’ex segretario degli Esteri Alberto dal Rosario ha attaccato la Cina di fronte a una platea di diplomatici, esperti di geopolitica e giornalisti: “Come dovremmo chiamare chi mostra i muscoli per privare i vicini dei loro diritti?”, ha detto Del Rosario, che attualmente dirige Startbase. L’ex segretario si è risposto da solo: “Un prepotente”, ha detto, riferendosi sempre alla Cina.
Del Rosario è dunque passato a criticare il presidente filippino Rodrigo Duterte responsabile, a suo dire, di “subire passivamente gli abusi” ai danni del paese. L’ex segretario ha definito il presidente “una vittima volontaria”; Del Rosario ha dunque proseguito il suo intervento, rivolgendo a Pechino epiteti quali “ladra” e “bandita internazionale”. Il 12 giugno 2016, la Corte permanente di arbitrato dell’Aja si è espressa in favore delle Filippine, che avevano contestato le rivendicazioni della Cina su un’area del Mar Cinese Meridionale vasta 3,5 milioni di chilometri quadrati. La Corte non dispone di un sistema di esecuzione delle sentenze, ma ha stabilito in quell’occasione che la cosiddetta “nine-dash line”, entro cui Pechino colloca le sue rivendicazioni territoriali, non ha alcun fondamento legale. Duterte, che ha assunto la presidenza meno di due settimane prima del pronunciamento, ha optato però per la linea dell’accondiscendenza, attratto dai miliardi di dollari di investimenti e accordi economici poi stipulati con Pechino.
Duterte ha archiviato la politica del suo predecessore, Benigno Aquino, affermando che perseguire le proprie rivendicazioni territoriali costerebbe a Manila un conflitto con la prima Potenza asiatica. Il segretario degli Esteri in carica, Alan Peter Cayetano, ha dichiarato che le Filippine non cederanno “un centimetro” del loro territorio”. Manila, però, evita con attenzione di criticare apertamente la Cina per la militarizzazione degli atolli del Mar Cinese Meridionale, una renitenza che nei mesi scorsi è periodicamente costata al governo dure accuse da parte dell’opposizione politica e di parte di media e mondo accademico. Secondo Jay Batongbacal, dell’Istituto per gli affari marittimi e il Diritto del mare presso l’Università delle Filippine, quello del governo in carica è un approccio “ingenuo” che ha solamente aggravato la situazione. “E’ da ingenui pensare che sentirsi dire (dalla Cina) che le Filippine non sono un bersaglio possa magicamente alterare la geografia della regione e alterare la posizione strategica del paese come potenziale teatro di scontro”, ha dichiarato l’esperto durante il forum di ieri.
Anche l’opinione pubblica esibisce segnali di un’insofferenza alimentata da episodi come il sequestro di un peschereccio filippino da parte di una motovedetta cinese, nel mese di giugno. La presidenza delle Filippine ha dichiarato questo mese che non adotterà provvedimenti dopo l’esposizione, a Quezon City, di striscioni che danno il benvenuto in lingua inglese e cinese “nelle Filippine, provincia della Cina”. L’iniziativa, tesa evidentemente a polemizzare con la politica conciliante del presidente Rodrigo Duterte nei confronti di Pechino, è stata definita “assurda” dal portavoce del presidente, Harry Roque. “Sono sicuro siano stati nemici del governo”, ha detto il portavoce, aggiungendo che questi ultimi “dovrebbero pensare a qualcosa di meglio”. Gli striscioni sono stati esposti nel secondo anniversario della vittoria delle Filippine sulla Cina presso la Corte di arbitrato internazionale, in merito alla sovranità sugli atolli contesi del Mar Cinese Meridionale.
Il progressivo riavvicinamento tra Filippine e Cina, coinciso con l’inaugurazione della presidenza di Rodrigo Duterte, nel giugno 2016, ha assunto dallo scorso novembre, e ancor più negli ultimi mesi, il carattere di un vero e proprio idillio. Il presidente filippino, deciso a ritagliare per il suo paese una posizione di equidistanza tra le due maggiori potenze regionali – Usa e Cina – ha accantonato le dure contrapposizioni con Pechino che avevano caratterizzato gli anni di governo del suo predecessore, Benigno Aquino III, a causa delle annose dispute tra i due paesi per la sovranità sugli atolli del Mar Cinese Meridionale. Un ritorno, per quanto possibile, alle relazioni cordiali che avevano caratterizzato la presidenza di Ferdinand Marcos e gli anni immediatamente successivi, ha consentito alle Filippine di Duterte di attingere alle vaste disponibilità finanziarie e al know-how di Pechino per trainare gli ambiziosi piani di sviluppo infrastrutturale del presidente. Lo riporta Agenzia Nova.
Paradosso nel paradosso: il reparto che è attivo solo 12 ore al giorno è stato inaugurato meno di due anni fa, con grandi celebrazioni. Perché, allora, nella struttura ci si è ridotti a utilizzare il cartone al posto del gesso? Un medico, che vuole rimanere anonimo, sostiene che gli infermieri del pronto soccorso non sono in grado di immobilizzare le fratture perché nessuno glielo ha mai insegnato. Ma c'è anche un'altra versione, che ha a che fare con questioni economiche: "Il Pronto soccorso non procede con l'approvvigionamento del materiale perché la farmacia dell'ospedale impone precisi limiti di spesa, in ossequio alle direttive del direttore generale Frank Benedetto e alla necessità di raggiungere il pareggio di bilancio".
Secondo Gianluigi Scaffidi, segretario aziendale del sindacato Anaao-Assomed, "nemmeno in un ospedale del terzo mondo gestito dai medici di Emergency si vedono queste cose. Non capisco come il primario del Pronto soccorso possa consentire questi obbrobri e restare al suo posto".
"I medici di Ortopedia, da parte loro - scrive ancora il sito - sono al limite della sopportazione. Sono loro, alla riapertura del reparto, a dovere rimediare alle soluzioni adottate dal Pronto soccorso. Disservizi che si sommano a tutti gli altri. Quella di Ortopedia, così come molte altre unità...