Donbass: la guerra dimenticata voluta da Washington
(last modified Tue, 17 Jan 2017 08:33:20 GMT )
Gen 17, 2017 09:33 Europe/Rome
  • Donbass: la guerra dimenticata voluta da Washington

WASHINGTON- Il Donbass è uscito da tempo dall’attenzione dei media,

chiamati a mettere in primo piano altre crisi da chi, dopo aver confezionato quel pasticcio sanguinoso, ha ora altre priorità e lascia marcirlo, salvo tirarlo fuori alla bisogna. Ma anche se dimenticata, è una guerra che continua a chiedere sangue.

Donbass la guerra dimenticata voluta da washington

Col 2017, il conflitto del Donbass è entrato nel terzo anno; un conflitto che, fra vere battaglie ed uno stillicidio di scaramucce sanguinose, secondo le stime ufficiali ha mietuto circa 9.700 vite; stime deficitarie che non possono tener conto delle vittime sepolte nelle tante fosse comuni in cui sono spariti civili a centinaia, soprattutto nel bacino del Donetsk, ad opera di mercenari e paramilitari di Kiev. Sangue che continua a scorrere a tutt’oggi: malgrado la tregua ufficiale, secondo i dati diramati dal Governo ucraino, nel 2016 i combattimenti hanno fatto 225 vittime e 300 feriti.

Il fatto è che il conflitto del Donbass è una guerra congelata che ha interessi lontani: Washington, nel febbraio del 2014, muovendo una piazza manovrata, spezzò l’accordo negoziato fra il presidente Yanukovich e l’opposizione con la mediazione della Ue (leggi della Germania). Aveva centrato l’obiettivo d’impedire che la crisi trovasse una soluzione negoziale e venisse depotenziata.

A Kiev seguì una deriva confusa pilotata dagli Usa, che alzò la tensione al parossismo con Mosca e costrinse gli alleati/sudditi europei a sanzioni autolesionistiche alla Russia ed a soggiacere alla sudditanza di una Nato falsamente rimotivata.

Quello che venne dopo è storia: dopo l’annessione della Crimea alla Russia, la classe dirigente ucraina, mandata allo sbaraglio da Washington, si era illusa di poter riprendere il Donbass con la forza; un’illusione tramontata nel fango insanguinato di Debaltsevo, dove il meglio delle forze di Kiev sono state distrutte. Da allora, era il febbraio del 2015, è stato un limbo grondante di sangue.

Per Washington quella catasta di morti erano più che sufficienti a far gridare al rinato “pericolo ad Est”, ridando una vernice di giustificazione alla Nato ed all’interruzione di ogni rapporto fra europei e russi, e bloccando ciò che alla Casa Bianca si paventava più d’ogni altra cosa: la nascita d’una intesa che unisse l’Eurasia. Per gli Usa il Donbass poteva rimanere come era, lasciando che a Kiev gli oligarchi, riciclatisi con la truffa della “Rivoluzione della Dignità”, continuassero a governare come sempre.

Ma il tempo è passato, il sangue è continuato a scorrere e l’agenda della politica internazionale è cambiata radicalmente, relegando il Donbass e l’Ucraina sullo sfondo. I Governi europei sono presi dalla spirale bellicista verso la Russia in cui li ha costretti Washington ormai a prescindere da Kiev, e comunque hanno nuove priorità per galleggiare sul crescente malcontento della gente. Ma anche gli Stati Uniti sono alle prese con una crisi interna senza precedenti, con un establishment che preme per continuare ad alzare la tensione con Mosca, e il nuovo Presidente e il suo entourage disposti ad un dialogo col Cremlino.

In questo scenario, per Poroshenko e il gruppo di potere che si è insediato a Kiev grazie alla crisi, la situazione si sta facendo assai critica: la popolazione, sempre più disillusa dalla truffa di Euromajdan, vede la corruzione dilagare peggio di prima, l’economia andare a rotoli e gli oligarchi regnare come sempre. Così il Donbass, che aveva fatto le fortune di un pugno di profittatori, rischia ora di travolgerli. Di qui le proposte che cominciano a circolare per chiudere il conflitto ed archiviare una crisi, che ormai conviene solo a miliziani e avventurieri che nella guerra hanno trovato potere e convenienze altrimenti impensabili.

È di questi giorni la proposta dell’oligarca Viktor Pinchuk, nativo di Kiev e noto per le sue posizioni filo-Ue, uscito allo scoperto aprendo a un negoziato con la Russia per arrivare alla pace in Donbass in cambio della rinuncia alle rivendicazioni sulla Crimea e dell’archiviazione di ogni integrazione dell’Ucraina nella Ue e nella Nato.

Una dichiarazione fino a qualche tempo fa impensabile, ma nei fatti una scelta obbligata visto il completo fallimento politico ed economico dell’attuale gruppo dirigente ucraino, e l’insostenibile peso, in termini finanziari e umani, della prosecuzione delle ostilità. Naturalmente ci saranno le forti resistenze dei tanti che sulla prosecuzione della guerra fondano i propri interessi, e l’improvvisa recrudescenza degli scontri fra il 16 e il 28 dicembre è un segnale, ma questo non cambia i termini della questione.

 

D’altronde, Washington e il suo braccio finanziario, il Fondo Monetario Internazionale, hanno ormai un interesse assai relativo ad accollarsi lo spaventoso disastro economico ucraino, ed a foraggiare a piè di lista uno Stato semifallito e la casta di oligarchi che continua a divorarlo. A prescindere dai futuri sviluppi interni agli Usa, le dinamiche di contrapposizione con la Russia sono avviate ed hanno trovato molti altri pretesti per procedere. Degli ucraini e dei loro guai a chi importa?

Tutta la crisi ucraina e la guerra che ha insanguinato il Donbass è l’ennesima dimostrazione del mostruoso cinismo dell’Imperialismo Usa, che suscita guerre e accatasta cumuli di morti per fondarvi sopra il proprio potere. Come sempre.

Salvo Ardizzone

Il Faro Sul Mondo

 

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