Iran, "Cella n. 14. I semi della rivoluzione"
E` stato pubblicato il libro: "Cella n. 14. I semi della rivoluzione"
Questa autobiografia ripercorre la prima metà della vita della Guida della Repubblica Islamica dell'Iran, Seyyed Alì Khamenei, dall'infanzia fino alla Rivoluzione del 1979. È la saga di un giovane religioso che ha combattuto la dittatura con la forza dei suoi sermoni, il resoconto di un’esistenza votata alla lotta per la giustizia e l’instaurazione di un ordine islamico nel suo Paese. Nonostante la prigione e l’esilio, non perse mai la speranza e fu sempre al fianco dell’imam Khomeini nel traghettare il popolo iraniano alla vittoria. La sua epopea giovanile consegna alla storia un sussulto di dignità atteso da chi ancora aspira a radicali cambiamenti politici e sociali, e trasmette un incoraggiante messaggio in un tempo in cui la rassegnazione delle masse è divenuta l’arma più potente delle classi dominanti. La sacralità della battaglia dell’Ayatullah Khamenei risiede nel messaggio di cui si fa vettrice: nessuna tirannia è in grado di spezzare la determinazione e l’audacia di chi, con totale abnegazione, combatte in nome di Dio.
“Dal primo momento in cui scelsi di oppormi al brutale regime Pahlavi, fui pienamente consapevole che la strada che mi accingevo a percorrere fosse lastricata di lacrime e sangue. Armato di questa consapevolezza, preparai me stesso, mentalmente e spiritualmente, ad affrontare ogni genere di tortura ed efferatezza. Questa mia risolutezza interiore trasparì, ancor più chiaramente, quando fui arrestato per la prima volta in quel di Birjand. Da quel giorno, con l’aiuto di Dio, mi resi conto di poter perseverare a prescindere dagli innumerevoli arresti, le minacce e le vessazioni fisiche e psicologiche che mi trovai a dover fronteggiare.
Dagli esordi dell’insurrezione, nel 1962, sino al trionfo della Rivoluzione Islamica, nel 1979, fui arrestato ed imprigionato per ben sei volte, e per una volta mandato in esilio, senza contare le innumerevoli convocazioni ai vari quartier generali della Savak, la polizia segreta dello Shah, per essere interrogato. Per comprendere a pieno la mia esperienza nelle carceri dello Shah, bisogna sapere due cose: esse furono concepite come vendetta contro i detenuti politici, allo scopo di spezzarne la resistenza, e come segregazione dei militanti, per restringerne il campo d’azione e danneggiare la causa comune”.
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