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Perché i membri della Commissione delle Nazioni Unite sull’Israele si sono dimessi?
Pars Today – Dopo mesi di pressioni e ostruzionismo continuo da parte delle autorità del regime sionista, tutti i membri della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sui Territori Occupati palestinesi si sono dimessi.
I tre membri della commissione dell’ONU, incaricati di indagare sulle violazioni dei diritti umani nei Territori Occupati palestinesi, hanno rassegnato le dimissioni. Navanethem “Navi” Pillay, 83 anni, sudafricana ed ex presidente del Tribunale Internazionale per il Ruanda, ha indicato l’età come motivo della propria decisione. Chris Sidoti, 74 anni, australiano, ha affermato nella sua lettera di dimissioni che è giunto il momento di rinnovare la commissione. Miloon Kothari ha dichiarato che per lui è stato un onore servire in tale incarico.
Le dimissioni sono arrivate nonostante che nei loro rapporti, i tre membri abbiano descritto le azioni di Israele nei Territori Occupati come violazioni del diritto internazionale e dei diritti umani, condannando la continua occupazione e i tentativi di annessione della Cisgiordania. Hanno inoltre chiesto la fine dell’occupazione israeliana e l’invio della questione alla Corte Internazionale di Giustizia.
La Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite sui Territori Occupati è stata istituita nel 2021, dopo un’escalation del conflitto tra Israele e i palestinesi che aveva riacceso l’attenzione dell’opinione pubblica mondiale sulla crisi senza fine in Palestina. La sua missione era quella di indagare in modo approfondito sulle violazioni dei diritti umani, basandosi su prove raccolte sul campo, testimonianze delle vittime e analisi del diritto internazionale.
Durante la sua attività, la Commissione ha esplicitamente affermato che le azioni di Israele nei Territori Occupati violano il diritto internazionale, comprese le Convenzioni di Ginevra. Nei rapporti pubblicati, si dichiara che Israele ha sistematicamente espropriato terre, demolito abitazioni palestinesi, effettuato arresti illegali, torturato e ucciso civili. Inoltre, viene denunciata la politica israeliana a Gerusalemme Est occupata (al Quds), che punta a modificare la composizione demografica, ebraicizzando la città e privando i palestinesi dei servizi essenziali. Il blocco della Striscia di Gaza, che dura da oltre 17 anni, viene definito dalla Commissione come una “forma moderna di punizione collettiva”, tra le più lunghe nella storia moderna.
Le posizioni della Commissione e i suoi rapporti hanno spinto Israele, fin dall’inizio, a condannare duramente il lavoro della commissione, definendola uno strumento di parte e politicizzato. La reazione non si è limitata a dichiarazioni diplomatiche, ma si è estesa a campagne mediatiche e pressioni politiche contro i membri della Commissione.
Dalla sua istituzione, Israele ha cercato, attraverso le proprie lobby influenti all’interno dell’ONU e in paesi come gli Stati Uniti, di screditare la commissione. Le autorità israeliane hanno più volte sostenuto che essa fosse “anti israeliana” eha definito i suoi rapporti “non obiettivi”. I media filo israeliani hanno contribuito a screditare l’immagine dei membri, diffondendo dichiarazioni distorte o decontestualizzate, mettendone in discussione l’autorevolezza e la legittimità. Tali sforzi sembrano in parte essere riusciti, anche se le dimissioni sono ufficialmente motivate da ragioni personali o organizzative, non si può ignorare la realtà delle crescenti pressioni esercitate da Israele e i suoi alleati, come gli Stati Uniti, sulle istituzioni internazionali.
Israele e i suoi sostenitori hanno dimostrato chiaramente di non tollerare rapporti indipendenti e critici. Non solo hanno preso di mira la commissione, ma hanno anche attaccato direttamente i suoi membri, sia attraverso campagne mediatiche che con pressioni politiche e minacce diplomatiche. Le dimissioni sono dunque il risultato diretto di una pressione sistematico condotta da potenti lobby all’interno della struttura dell’ONU.
Da decenni, Israele continua l’occupazione dei Territori palestinesi, portando avanti massacri e violenze, specialmente negli ultimi anni, attraverso l’espansione degli insediamenti, la demolizione delle case palestinesi e l’uso della violenza sistematica contro gli abitanti di Gaza e della Cisgiordania. Negli ultimi mesi, oltre 50.000 palestinesi a Gaza sono stati uccisi durante la guerra, e Israele ora sembra attuare una politica di genocidio, impedendo l’ingresso di aiuti alimentari e sanitari a Gaza. E tutto ciò avviene con il sostegno incondizionato di alcuni paesi occidentali, in primis gli Stati Uniti.
Washington non solo finanzia e arma Israele, ma gli garantisce anche un’immunità politica, al punto da interferire con il lavoro di enti internazionali come l’ONU e i suoi relatori. Un esempio recente è l’imposizione di sanzioni da parte degli USA contro Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani nei Territori Occupati.
Navi Pillay, presidente dimissionaria della Commissione, ha recentemente dichiarato che le dichiarazioni giustificative dei leader israeliani e l’inefficacia del sistema giudiziario militare israeliano nel perseguire e condannare i colpevoli, inviano un chiaro messaggio alle forze di sicurezza israeliane: possono continuare a commettere crimini senza temere conseguenze.
Quel che aumenta la preoccupazione è che queste dimissioni riflettano la condizione allarmante della giustizia internazionale nel mondo odierno. Ora il Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite dovrà nominare nuovi membri per la Commissione. Ma questa sarà in grado, con i nuovi componenti, di resistere a pressioni simili e restare fedele al proprio mandato? La risposta a questa domanda è cruciale, non solo per il destino del popolo palestinese, ma per l’integrità stessa del sistema giuridico internazionale.