Scopri l’Iran (11); Sistan e Baluchestan
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Parstoday- Sistan e Baluchestan, terra delle meraviglie senza fine; dalle Montagne Marziane e la laguna rosa di Lipar fino alla città bruciata (Shahre Sukhteh) e all’arte del ricamo baluci. Insieme solleviamo un nuovo velo sulla natura, la storia e la cultura di questa antica regione.
(last modified 2025-09-22T14:10:27+00:00 )
Set 20, 2025 06:45 Europe/Rome
  • Scopri l’Iran (11); Sistan e Baluchestan

Parstoday- Sistan e Baluchestan, terra delle meraviglie senza fine; dalle Montagne Marziane e la laguna rosa di Lipar fino alla città bruciata (Shahre Sukhteh) e all’arte del ricamo baluci. Insieme solleviamo un nuovo velo sulla natura, la storia e la cultura di questa antica regione.

La regione del Sistan e Baluchestan è un luogo sorprendente che racchiude natura incontaminata, una storia millenaria e una cultura variopinta. I suoi abitanti, ospitali e sinceri, conquistano il cuore di ogni viaggiatore come le sue attrazioni naturali e storiche. Solleviamo dunque un nuovo sipario sulle sue meraviglie; dalle Montagne Marziane dal paesaggio ultraterreno alla laguna rosa di Lipar, dalle scogliere di Beris alla galleria antica di Saravan, dal deserto misterioso del Lut alla città antica di Shahre Sukhteh, che ancora custodisce nel suolo i segreti della scienza e dell’arte degli antenati. Poi visiteremo l’artigianato tradizionale e il patrimonio nascosto della regione e, infine, assaggeremo i suoi sapori locali per concludere il nostro viaggio campo.

Sistan e Baluchestan, nel sud-est dell’Iran, possiede un potenziale turistico senza pari: natura variegata, storia densa e cultura viva. Per prima cosa ci dirigiamo a sud, dove le “Montagne Marziane” o “Montagne di Miniatura” offrono panorami extraterrestri. L’erosione millenaria e le piogge stagionali hanno inciso linee sottili e regolari sui loro fianchi; per questo sono dette “miniature”, mentre l’aspetto insolito le ha fatte chiamare “marziane”. Attorno a esse cresce poca vegetazione, ma le masse rocciose e i giochi di luce e ombra creano scenari che sembrano giunti da un altro pianeta.

Poco più avanti, vicino a Chabahar, troviamo la laguna di Lipar; una laguna dalle acque rosa che brilla accanto a uno stretto roccioso e al Mare di Oman. Alimentata dal mare, ha un alto grado di salinità. Il colore rosa, secondo molti, deriva dalla presenza di una particolare alga e varia di intensità a seconda della stagione e delle condizioni. Il periodo migliore per visitarla è da metà inverno a inizio primavera, quando la brezza marina è più lieve e il colore della laguna più abbagliante.

Giunti sulla costa, appare il porto di Beris con le sue alte scogliere modellate dal tempo. È un porto vivo in cui di giorno le barche dei pescatori vanno e vengono, e al tramonto il sole scivola lentamente dietro i bordi delle rocce nel mare di Makran. La strada da Chabahar a Beris è tra le più belle coste d’Iran; là dove monti e mare si salutano, offrendo panorami poetici e sereni.

Il nostro cammino ci porta a Saravan; a “Darreh Negaran», la più grande galleria d’arte sulla pietra dell’Iran. Sulle pareti e sui massi, vediamo raffigurazioni di uomini e animali: stambecchi, buoi selvatici, cammelli e scene di battaglia e rituali. Gli archeologi datano queste incisioni tra il quarto e l’ottavo millennio a.C.; una traccia evidente di immaginazione, riti e vita antica nel cuore della montagna.

E poi c’è il “Lut”; un deserto, una parte del quale si estende nel Sistan e Baluchestan ed è registrati tra i patrimoni naturali mondiali. Con oltre quarantamila chilometri quadrati di estensione, distribuiti tra le tre province di Kerman, Sistan e Baluchestan e Khorasan meridionale, il Lut copre circa il dieci per cento dell’Iran ed è il trentatreesimo deserto più grande del mondo. Questa distesa è considerata uno dei luoghi più caldi sulla Terra; nel 2005 la temperatura vi raggiunse circa settanta gradi Celsius. Il colore scuro e la secchezza della superficie assorbono e trattengono il calore; e il Lut, in un silenzio maestoso, ci svela il segreto dell’erosione e del tempo.

Conosciamo Sistan e Baluchestan anche per i suoi patrimoni iscritti: il deserto del Lut, la ceramica di Kalpurgan, i tappeti di Sistan, la città bruciata e il paesaggio naturale di Hamun, nomi familiari nella lista mondiale dell’UNESCO. Ciascuno testimonia il ruolo di questa provincia nella storia e nella natura dell’Iran.

Ora entriamo nel cuore della storia; la “Città Bruciata”, simbolo della grande civiltà della pianura del Sistan. Un insieme di colline naturali alte da dodici a diciotto metri, a 56 chilometri lungo la strada da Zabol a Zahedan. Dei 280 ettari dell’area urbana, circa 120 ettari contengono resti archeologici, e in un periodo compreso tra il settimo e il quinto strato (circa 2800–2500 a.C.) raggiunse la massima estensione di ottanta ettari. Questo luogo è davvero un grande laboratorio di storia: una superficie coperta di pezzi di ceramica, pietre e metalli e frammenti di pietre semipreziose; tanto che a volte camminare senza calpestare reperti è impossibile.

Ora entriamo nel cuore della storia; la “Città Bruciata”, simbolo della grande civiltà della pianura del Sistan. Un insieme di colline naturali alte da dodici a diciotto metri, a 56 chilometri lungo la strada da Zabol a Zahedan. Dei 280 ettari dell’area urbana, circa 120 ettari contengono resti archeologici, e in un periodo compreso tra il settimo e il quinto strato (circa 2800–2500 a.C.) raggiunse la massima estensione di ottanta ettari. Questo luogo è davvero un grande laboratorio di storia: una superficie coperta di pezzi di ceramica, pietre e metalli e frammenti di pietre semipreziose; tanto che a volte camminare senza calpestare reperti è impossibile.

Oltre all’abbondanza di ceramiche, i ritrovamenti sono vari: statuette in terracotta e pietra di uomini e animali, strumenti per la tessitura, tessuti e corde, recipienti in marmo e manici in pietra, macine e ornamenti. I gioielli erano realizzati con lapislazzuli (Lajevard), agata (Aqiq) e turchese (Firuzeh); pietre importate in città, lavorate dagli artigiani e poi esportate oltre il Golfo Persico e in Mesopotamia. La prosperità della Città Bruciata la rese il più grande centro abitativo dell’Età del Bronzo; con superiorità nella conoscenza e medicina, nell’industria e commercio, nell’agricoltura e allevamento e persino nell’urbanistica: il sistema avanzato di approvvigionamento idrico e di scarico con tubi di terracotta è un esempio raro nelle città antiche.

Ma ecco le meraviglie: il primo “occhio artificiale” del mondo fu trovato nel cimitero della Città Bruciata; nell’orbita di una donna trentenne, una protesi fatta di un misto di bitume e grasso animale, ornata con sottili fili d’oro. Nello stesso cimitero, il cranio di una ragazza tredicenne mostra i primi segni di un’operazione chirurgica conosciuta; le tracce di guarigione indicano che sopravvisse alcuni mesi dopo l’intervento. Medicina e arte, insieme a industria e commercio, convivevano in questa città.

Anche un calice di terracotta è stato ritrovato in quelle tombe; dipinto con un capro e un albero. L’artista raffigurò in cinque scene ripetute il salto del capro verso un ramo. Guardando le scene in sequenza, si crea l’illusione del movimento; lo stesso principio dei fotogrammi consecutivi nell’animazione. Questo calice, oggi conservato al Museo Nazionale dell’Iran, dimostra che gli abitanti della Città Bruciata erano artigiani artistici e narratori abili.

E un’altra meraviglia: il più antico set completo di un gioco da tavolo; un backgammon (Takhteh Nard) risalente a circa 4700 anni fa, con ventisette pedine e quattro dadi diversi. Gioco, svago e pensiero erano compagni della vita quotidiana. La Città Bruciata non è soltanto una meta turistica; è una scoperta storica che ci ricorda che scienza, arte, pace e progresso non sono concetti esclusivi dell’epoca moderna.

Ora torniamo al patrimonio immateriale e all’artigianato; un tesoro splendente sulla cima della cultura di questa provincia. Iranshahr, “città nazionale del ricamo a mano”; Nimruz o Adimi, “città nazionale del ricamo a filo bianco”; Kalpurgan, “villaggio mondiale della ceramica”; e Tang Sarhe a Nikshahr, “villaggio nazionale dell’intreccio di stuoie”. Questi nomi non sono solo titoli; sono testimonianze della continuità di abilità, gusto e identità.

Il ricamo baluci, con il marchio di autenticità UNESCO, è il linguaggio muto delle donne baluci. Con fili di seta tinti con sostanze naturali, cuciono centinaia di quadrati, rombi e rettangoli con tale precisione che, se misurati col compasso, non si noterebbe differenza. Quest’arte ha applicazioni nella vita quotidiana; dall’abbigliamento alla decorazione. Le bambine, fin dall’adolescenza, accanto a madri e zie, imparano i motivi, e l’arte si tramanda di generazione in generazione. I racconti parlano del legame storico del ricamo con l’allevamento dei bachi da seta; un mercato un tempo fiorente in Baluchestan. Alcune fonti fanno risalire l’inizio di quest’arte a uno–due secoli prima dell’Islam e il suo fiorire all’epoca ilkhanian, timurian e safavian. Se guardiamo alle incisioni sulle pietre e alle ceramiche preistoriche, la somiglianza dei motivi geometrici con i disegni odierni del ricamo è sorprendente; un ponte tra passato e presente.

In questi motivi si riflettono natura, società e credenze: dalle forme geometriche alle figure animali e ispirazioni dai gioielli degli orafi; persino simboli tratti dal corpo umano, come l’occhio in diverse forme. Anche le credenze religiose hanno influito sull’estetica dell’opera; l’evitare la raffigurazione dell’uomo è diventato gradualmente un principio di quest’arte. I colori sono sei, con il rosso come fulcro, accompagnato da verde, marrone, nero, bianco e blu in varie sfumature. Circa l’ottanta per cento della struttura del motivo è costruita col rosso e poi, come in un dipinto, prende vita con gli altri colori.

Accanto al ricamo, vi è la ceramica di Kalpurgan; un lavoro completamente manuale e senza bisogno di tornio. Le donne del villaggio, con la terra locale e il pigmento naturale “Tituk” – una pietra scura della collina Achar-Kahuran – creano recipienti privi di smalto e che, per questo, alla prima utilizzazione rilasciano un po’ di colore; ma basta lavarli una volta nell’acqua. Queste ceramiche, oltre alla bellezza, sono conosciute anche per l’uso pratico: dall’assorbire i sali in eccesso dell’acqua all’aumentare l’assorbimento di ferro in cucina. Ogni recipiente è una testimonianza del legame tra uomo e terra.

Hasir bafi (l’intreccio di stuoie )– chiamato “Tagard-bafi” nel Sistan e “Sis bafi” nel Baluchestan – con le coste di canna e foglie di palma, accompagna le case dall’epoca della Città Bruciata fino a oggi. I villaggi attorno al monte Khajeh, Zabol, Nikshahr, Saravan e Sarbaz sono i centri principali di quest’arte. E il tappeto di Sistan; figlio della storia e della natura. I tappeti antichi con nodo turco e legame col Pazyryk, con colori blu scuro, turchese, giallo e rosso e motivi a riquadri e a vaso; il periodo intermedio con nodo persiano e disegni boschivi e a pannelli; e il periodo moderno con motivi “laccetti medaglione” e a bande. In tutti, risplende una geometria nobile e astratta; come se gli artisti del Sistan, migliaia di anni fa, fossero pionieri dell’astrazione.

La fine del viaggio non è completa senza assaggiare i sapori. Le tavole locali di questa regione uniscono il gusto del mare, del deserto e della montagna: dai piatti di pesce del sud ai pani locali e alle spezie aromatiche, dalle tisane alle semplici e profumate creme. Ogni boccone è il racconto di un clima e ogni sapore, un ricordo duraturo.

Dalle Montagne Marziane e la laguna Lipar alla Città Bruciata e ai laboratori di ricamo, dal Lut infuocato alle fresche stuoie delle palme, tutti dicono: questa regione non è solo geografia; è un’identità viva che con arte, storia e natura, resta giovane giorno dopo giorno.