Donare la vita per Dio o per la patria? 1a P.
(last modified Tue, 02 Feb 2021 07:04:28 GMT )
Feb 02, 2021 08:04 Europe/Rome
  • Donare la vita per Dio o per la patria? 1a P.

Presentiamo ai nostri lettori la traduzione integrale del discorso tenuto dall’Ayatullah Mesbah Yazdi il 1 dicembre 2012 in ricordo dei martiri dell’“Istituto di formazione ed educazione Imam Khomeyni” di Qom (Iran), del quale l’eminente sapiente religioso è stato direttore fino alla sua morte, avvenuta il 1 gennaio 2021. La trascrizione del discorso, in persiano, è stato pubblicata con il titolo “Il criterio del valore del martire e del martirio” sul suo sito ufficiale: https://mesbahyazdi.ir/p

Ringraziare il benefattore, un dovere razionale

Sappiamo che è nostro dovere religioso, divino e umano, ringraziare adeguatamente chiunque ci abbia reso un servigio o sia stato per noi fonte di benedizione. Tale assunto è talmente assodato che i teologi, nelle loro opere, l’hanno più volte invocato per indicare una delle motivazioni principali della necessità di condurre ricerche su Dio. E infatti quando hanno voluto trattare codesta necessità per valutarne la reale fondatezza, analizzando le ragioni alla base di una così nobile indagine, sono giunti alla conclusione che uno dei suoi motivi basilari sia l’intima consapevolezza dell’uomo che il render grazie al proprio benefattore costituisca un dovere. Poiché godiamo di benedizioni dobbiamo conoscere chi le ha dispensate. Pertanto la ragione di quest’obbligo d’indagine risiede nel ringraziamento dovuto al benefattore. Si tratta dunque di un’argomentazione così chiara a tutte le persone dotate di intelletto, da esser diventata una delle immancabili premesse teoretiche a qualsivoglia tentativo di conoscenza divina.

Esistono comunque diversi tipi di benedizione. A volte una benedizione può essere un piccolo favore, come ad esempio un aiuto finanziario, un lavoro o qualcuno che ci raccomandi, ecc. Le necessità umane sono molto varie e altrettanto diversi sono i generi di benedizioni che ne conseguono. Quando però si tratta di benedizioni senza limiti e dai benefici incalcolabili, e quindi matematicamente annoverabili nell’ordine degli infiniti, delle quali insomma non sia possibile definire il valore, quando si riceva da qualcuno una benedizione di questo tipo, come possiamo ringraziarlo? Anche la riconoscenza nei confronti di una benedizione simile dovrebbe essere illimitata.

I servigi che vengono forniti alla comunità sono assai differenti. Alcuni di essi, come ad esempio la cura dei malati, rappresentano una risorsa irrinunciabile, che a volte può addirittura condurre a salvare una vita: e infatti proteggere la vita, guarire i malanni, preservare la sopravvivenza del genere umano, è la massima espressione del concetto di servizio, ma, ahimè, anch’essa soggetta alla legge della temporaneità degli effetti. Alla fine, infatti, sopraggiunge la morte vanificando ogni risultato raggiunto. Esistono però alcuni tipi di benedizioni i cui effetti non hanno limiti, durando essi all’infinito. Stiamo parlando di quelle benedizioni che, attinenti all’eterna beatitudine di ogni singolo uomo, riguardano colui che aiuti il suo prossimo a raggiungere la salvezza. A volte questo accade ad un singolo individuo. L’esempio migliore è quello di colui che guida una persona sviata verso la Vera Religione (Din al-Haqq), salvandola così dal fuoco dell’inferno. Quanto dura questa benedizione? Non ha limite, è infinita, perché i suoi effetti “rimarranno per sempre” (Sacro Corano, II: 39). Prestate attenzione: stiamo parlando del salvare una singola persona, che in questo modo raggiungerebbe la beatitudine eterna. Adesso, se un uomo agisse in modo tale da condurre a salvazione un intero gruppo, una comunità, una nazione, milioni di persone, liberandoli così dal fuoco eterno, quali sarebbero gli effetti? Come bisognerebbe ringraziarlo?

Un esempio al riguardo sono i Santi Profeti e gli Imam Infallibili (che la pace e le benedizioni di Dio siano su tutti loro): essi non solo hanno portato alla beatitudine i loro accoliti, i loro vicini, i loro connazionali e i loro coevi, ma finché il mondo esisterà, il loro insegnamento e le loro esistenze continueranno a beneficare il genere umano e ad aprire i cancelli della felicità eterna per tutte le anime dei viventi. Pertanto la più eccelsa benedizione, che richiede la più grande riconoscenza, è la religione. Ora, quale sforzo può esser compiuto in tale direzione per mantenere viva la religione, affinché le persone possano trarne beneficio? Dipende dalle circostanze e dal luogo. Ci sono stati Profeti che lo hanno fatto soltanto predicando i comandamenti divini e trasmettendo il messaggio di Dio sino alla fine della loro vita: impartivano consigli alle genti e ciò non ha arrecato loro alcun danno. Per molti Profeti fu così, mentre per altri la vita fu un continuo succedersi di sofferenze, difficoltà, prigionia e torture sino al culmine del sacrificio supremo per amore di Dio. Lo stesso è accaduto ai loro successori.

In questi giorni ricordiamo il Principe dei Martiri [l’Imam Husayn]: nel mondo non troviamo nessuno che abbia reso così tanti servigi per promuovere la religione di Dio e la beatitudine degli esseri umani, donando tutto se stesso. La situazione era tale che sacrificò non solo se stesso e la sua vita, ma anche i suoi averi, i suoi figli, le sue mogli, i suoi parenti e perfino il suo neonato. Non conosciamo nessuno nell’intera storia – scritta e orale – del mondo che abbia compiuto un tale sacrificio. Questo è un esempio della benedizione che Iddio Onnipotente conferisce mediante una singola persona a tutti gli esseri umani. La benedizione che è stata elargita dal Principe dei Martiri a tutti gli esseri umani fino al Giorno del Giudizio non è stata offerta da nessun altro essere umano e, apparentemente e realmente, non lo sarà neanche in futuro. Si tratta della grazia che Dio ha riservato a questo Suo servitore speciale.

I martiri, seguaci del Principe dei Martiri

Dopo di lui, quelli che più gli rassomigliano sono coloro che hanno reso questo tipo di servigio alla società elargendo benedizioni agli esseri umani, rendendosi così meritevoli di una gratitudine infinita. Si tratta dei martiri: gente che ha donato la propria vita e la propria esistenza sullo stesso sentiero dell’Imam Husayn. Il loro unico desiderio, al momento del martirio, era di poter vedere la bellezza del Principe dei Martiri; era questa la loro sola aspirazione. Hanno sacrificato tutto il loro essere sul sentiero del Principe dei Martiri, per il suo santo nome, per il suo nobile fine e per i suoi alti ideali. Lungo tutti i 1.400 anni di storia dell’Islam poche volte si è presentata l’occasione per dei credenti di sacrificare la propria vita sull’esempio e per gli obiettivi del Principe dei Martiri. Non si tratta di qualcosa possibile a tutti. Persone come il sottoscritto, per quanto possano desiderare un simile destino, ne sono private: “Questa è la Grazia di Allah, Egli la concede a chi vuole” (Sacro Corano, 62: 4). Dio riserva questa stazione a dei Servitori eletti dotati di qualità particolari. Di cosa si tratta? Non lo sappiamo: sappiamo solo che senza tali virtù è impossibile compiere determinate azioni.

Tra i credenti a cui è concesso il trionfo del martirio, alcuni spiccano su altri. Essi sono esempi da ricordare e imitare, miti di riferimento, uomini di cui non possiamo comprendere né descrivere appieno l’opera, il valore e il sacrificio, figuriamoci il modo in cui poterli ringraziare. L’unica cosa che persone come il sottoscritto possono fare è chinare la testa in loro onore, mostrare rispetto e dire: “Vi amiamo e rispettiamo profondamente, anche se noi non meritiamo la posizione che avete raggiunto. Non ne possediamo l’aspirazione né il merito, ma Dio ha scelto voi per questa stazione e per il diritto che avete su di noi, del quale non possiamo sdebitarci”. Quello che possiamo fare è solo mostrare rispetto e ringraziare verbalmente: riverire il loro nome, i loro genitori, le loro famiglie, tutti sentimenti che emergono generalmente durante le cerimonie di commemorazione. Questo nostro incontro, come sapete, è stato organizzato in onore di tali martiri e le care persone qui presenti hanno scelto di parteciparvi dedicando parte del loro tempo. Dal canto mio, ringrazio tutti i nobili uomini e donne presenti e mi vergogno e chiedo scusa davanti ai martiri di non poter far altro che tenere un mero discorso.

Il nostro dovere verso i martiri

Carissimi! A parte queste scuse e ringraziamenti verbali, ci troviamo di fronte a delle responsabilità che in realtà costituiscono una forma concreta di gratitudine nei confronti di tutti questi servigi e benedizioni. I martiri hanno sacrificato loro stessi e la propria esistenza, per uno scopo, e naturalmente desiderano che esso venga perseguito e realizzato. Chiunque contribuisca a raggiungere questo obiettivo in realtà è stato loro riconoscente e li ha aiutati a realizzarlo. Questo è il miglior ringraziamento. Dovremmo cogliere queste opportunità e riflettere più attentamente sugli scopi dei nostri martiri e provare il più possibile, con tutto il cuore e con tutta l’anima, a raggiungere queste mete.

Ogni guerra è, tra le altre cose, occasione di eroismi e sacrifici, mossi dalle più svariate motivazioni. Dopotutto la questione dell’andare in guerra con la possibilità di rimanere uccisi non è una prerogativa della nostra società e della nostra guerra di otto anni [1]. Ovunque ci sia un conflitto, di qualsiasi paese si tratti e qualsivoglia gruppo coinvolga, il parteciparvi vorrà dire mettere in gioco la propria vita e quindi correre il rischio di perderla. La vera domanda da porsi è quali siano le reali motivazioni che spingono a un tale sacrificio. In effetti tra gli esseri umani non vi è nessuna aspirazione che possa competere con il desiderio di una vita lunga e felice. Ogni sforzo è compiuto in funzione di un miglioramento delle condizioni di vita, si tratti di salute, comodità, status sociale, felicità, ricchezza e quant’altro. Cos’è dunque che spinge un uomo a rischiare la propria vita? Si tratta di qualcosa che accade ovunque ma, come abbiamo già detto, per motivazioni assai diverse: diversi sono gli scopi, diverse sono le strategie di persuasione, volte a condurre le masse al sacrificio supremo sul campo di battaglia.

.Motivazioni del sacrificio

Una delle strategie più diffuse ed efficaci è presentare dei valori, ingigantirli con una capillare azione di propaganda volta ad influenzare i cuori, fino a che gli esseri umani non siano disposti a sacrificare la propria vita onde realizzarli. Fattore comune a tutti i paesi del mondo dal giorno in cui la storia ne ha fatto menzione fino ad oggi, forse l’ideale che più di tutti ha mosso le masse al sacrificio della vita, è l’amore per la patria. Potete vedere come gli eserciti di tutto il mondo, quando vogliano arruolare ed addestrare soldati, sin dal primo giorno inizino a parlare di patria, terra e suolo, martellando i cittadini giorno e notte, come se al mondo non esistesse valore più alto del proteggere la patria e preservare l’integrità territoriale.

Non intendo aprire questo dibattito. Vorrei solo sottolineare come nel mondo milioni di persone – se potessimo contarle dovremmo parlare di miliardi – sono morte nel corso della storia per quest’unica motivazione: proteggere la propria patria. L’argomento principale da essi utilizzato per spiegare la propria partecipazione ad un qualunque conflitto è la difesa del suolo nazionale. Per essi non esiste onore più grande. Adesso analizziamolo. Si tratta di un valore umano, in quanto è un ideale per il quale gli esseri umani sono pronti a perdere la propria vita: si offre quanto vi è di più caro, la propria medesima esistenza, per proteggere la terra, la patria, la nazionalità, l’etnia, l’iranianità e tutto l’annesso corollario. Tutto ruota intorno all’idea di patria. Ma l’Islam ha offerto un altro valore che, se messo a confronto, piuttosto che essere come il lume di mille candele rispetto a quello di una sola, appare come la luce di fronte all’oscurità. Invece di questo valore umano, condiviso dalle genti di tutto il mondo e motivazione principe di ogni volontarismo, eroismo e sacrificio sul campo di battaglia, ovvero la difesa della propria nazione, l’Islam ha indicato un ideale d’infinita profondità. Coloro che si sacrificano “alla ricerca del compiacimento di Allah” (Sacro Corano, II: 207), “che bramano il volto di Allah” (XXX: 38), che sacrificano tutto per Dio, per la Sua religione e per il Suo compiacimento.

Fonte: http://islamshia.org/donare-la-vita-per-dio-o-per-la-patria-ayatullah-mesbah-yazdi/

 

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