Sudan in guerra a favore dell’Occidente
KHARTOUM (pars Today Italian) - Nelle ultime settimane i fragili equilibri del Sudan sono nuovamente saltati con notevole spargimento di sangue.
Un paese già nei decenni passati martoriato da guerre civili endemiche, come quella in Darfur, nella sua parte occidentale, e quella nella sua porzione meridionale, sfociata nel 2011 nella secessione e indipendenza del Sud Sudan, si ritrova ancora una volta a essere un campo di battaglia, complici influenze esterne. Alla lotta per il potere scoppiata fra l’esercito regolare del generale Abdel Fattah Al-Burhan e le forze speciali RSF del generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto “Hemetti”, fa da sfondo l’interesse delle potenze straniere per i giacimenti di oro e petrolio del paese, nonché per la sua posizione strategica di crocevia fra il Sahel, il Corno d’Africa e il Mar Rosso, sulla via fra Suez, cioè il Mediterraneo, e l’Oceano Indiano. Una crisi che può fare da detonatore in una regione già problematica.
Gli scontri armati iniziati il 15 aprile 2023 in Sudan fra i due principali esponenti della giunta militare che dall’autunno 2021 guida il paese non accennano a diminuire nonostante le ripetute tregue proclamate nei giorni scorsi, ma mai osservate completamente.
In due settimane gli scontri hanno provocato almeno 334.000 sfollati interni secondo Paul Dillon, portavoce dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), durante un briefing a Ginevra. Più di 100.000 persone sono fuggite nelle nazioni vicine, tra cui Egitto, Ciad, Sud Sudan, Repubblica Centrafricana ed Etiopia, ha aggiunto Olga Sarrado, portavoce dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR). Le Nazioni Unite temono un esodo di massa e stimano che “più di 800.000 persone” potrebbero fuggire dal Sudan.
Pechino ha sempre contato sul Sudan come una discreta fonte di petrolio, ancora importante nonostante da oltre un decennio il grosso dei pozzi sia rimasto sul territorio del secessionista Sud Sudan. Seguono nell’ordine, con cifre assai minori, Egitto, Arabia Saudita e Russia, mentre fanalini di coda, fra i “grandi” paesi, sono Turchia e Stati Uniti. In generale, l’atteggiamento di tutte queste potenze è stato cauto e non particolarmente incisivo, almeno per il momento, a riprova del fatto che il conflitto sembra essere scoppiato per dinamiche tutte interne al Sudan e costituisca per tutti un problema, più che una vera opportunità.
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