Non esiste una «soluzione militare» alla questione dell’estremismo islamico, del quale l’Isis è la rappresentazione più mostruosa: è quanto si legge in un articolato editoriale di Angelo Panebianco sul Corriere della Sera del 2 aprile.
Che spiega come un’eventuale vittoria sul
piano militare contro l’Isis non basterà a chiudere la partita: «Alla
sconfitta militare dello Stato islamico dovrà accompagnarsi una
conferenza di pace, presenti tutte le potenze interessate, che dia vita,
sulle ceneri del vecchio Iraq e della vecchia Siria, a nuove
organizzazioni statali (rispettivamente dei sunniti, degli sciiti e dei
curdi) e a nuovi confini.
E sapendo comunque nella futura carta geopolitica del Medio Oriente, se
si formeranno, come è probabile, Stati mono-religiosi o mono-etnici,
non ci sarà spazio, purtroppo, per altre minoranze, cristiani in testa.
L’Europa dovrà allora accoglierli con la necessaria generosità».
Nota a margine. Panebianco ha il dono di parlare chiaro. Quello
della ripartizione di Iraq e Siria secondo confini etnici o religiosi è
una vecchia idea dei neocon (ne abbiamo accennato più volte). Un
progetto che avrebbe dovuto compiersi per via militare, tale il motivo
del sostegno delle «potenze interessate» ai vari movimenti jihadisti che
hanno portato l’orrore in Iraq e Siria (e in Europa). Si parla di
Arabia Saudita, Turchia, ma anche di influenti ambiti interni a Gran
Bretagna, Francia, Stati Uniti e altri.
L’imprevisto intervento militare russo ha fatto fallire l’opzione
militare. Ora sembra si voglia provare attraverso la via diplomatica: le
stesse «potenze interessate» spingeranno in tal senso al tavolo dei
negoziati, almeno questa è la tesi di Panebianco.
Invero non si capisce a cosa siano davvero «interessate» tali
potenze: se al petrolio sul quale galleggiano i due Stati o
all’influenza che potranno avere sui micro-stati che nasceranno da tale
frammentazione.
Ma al di là, si nota lo strano rovesciamento della dottrina neocon,
un tempo basata sull’idea di esportare la democrazia a suon di bombe:
nel caso specifico i principi fondanti della democrazia, ovvero il
rispetto della sovranità e della volontà popolare, non sono neanche
presi in considerazione.
Val la pena, infine, ricordare come nel dicembre del 2015, l’Onu ha
votato una risoluzione nella quale ribadiva «il suo forte impegno per
la sovranità, l’indipendenza, l’unità e l’integrità territoriale della
Repubblica araba siriana». C’è un modo di arginare la follia del caos ed
è quello di rispettare la legalità internazionale, della quale le
Nazioni Unite dovrebbero rappresentare un punto di riferimento.
Diversa e altrettanto bizzarra la soluzione prospettata per le
minoranze cristiane: si prevede una loro deportazione (soft) di massa, a
prescindere dalla loro volontà e da quella delle popolazioni dei futuri
(ed eventuali) micro-stati nati da tale frammentazione.
Tra le aspirazioni dei vari movimenti jihadisti, sostenuti,
finanziati e armati dalle «potenze interessate», c’era anche questa: un
Medio Oriente svuotato dalla presenza cristiana.
Tra l’altro restano fuori le altre minoranze – ad esempio agli
yazidi massacrati dall’Isis – escluse dal “generoso” abbraccio europeo:
le mandiamo al Polo?