Apr 18, 2018 10:11 CET
  • Parabole e Metafore coraniche (27): quanto e' brutta l'avarizia

Nell’ultima puntata della serie dedicata alle metafore ed alle parabole coraniche vi parleremo dell’avarizia e di una delle storie che il Corano narra per far comprendere ai fedeli quanto sia brutta questa caratteristica.

Dio l’Altissimo narra nella sura coranica Al Qalam, il Calamo, la seguente vicenda nello spazio tra i versetti 17 e 33. Li leggiamo subito:

“Li abbiamo messi alla prova come abbiamo messo alla prova quelli del giardino che avevano giurato di fare il raccolto al mattino, senza formulare riserva. Venne un uragano, proveniente dal tuo Signore, mentre dormivano: e al mattino fu come se [il giardino] fosse stato falciato. L'indomani si chiamarono gli uni con gli altri, di buon mattino:“Andate di buon'ora alla vostra piantagione, se volete raccogliere”. Andarono parlando tra loro a bassa voce:  “Che oggi non si presenti a voi un povero!”. Uscirono di buon'ora, in preda all'avarizia, pur avendo i mezzi [per fare l'elemosina]. Quando poi videro [quel che era avvenuto], dissero: “Davvero abbiamo sbagliato [strada]!  [Ma poi convennero:] Siamo rovinati”. Il più equilibrato tra loro disse: “Non vi avevo forse avvertito di rendere gloria ad Allah?”. Dissero: “Gloria al nostro Signore, invero siamo stati ingiusti”. Si volsero poi gli uni agli altri, biasimandosi a vicenda. Dissero: “Guai a noi, invero siamo stati iniqui. È possibile che il nostro Signore ci compensi di questo con qualcosa di migliore. Noi bramiamo il nostro Signore”. Questo fu il castigo, ma il castigo dell'altra vita è ancora maggiore, se solo lo sapessero!” (Corano, sura al Qalam, 17-33)

Per rendere un pò più chiara la vicenda vi diamo una breve spiegazione.

La vicenda citata dal Corano, secondo le spiegazioni date poi sulla stessa vicenda dal profeta e dai suoi sacri discendenti, e’ quella di un ebreo generoso che possedeva un grande frutteto e che al momento del raccolto permetteva che i poveri vi entrassero e prendessero parte degli avanzi del raccolto. Proprio per questo suo fare il suo frutteto diveniva sempre più rigoglioso e prosperoso. Dopo la morte dell’uomo però i suoi figli, che invece di essere magnanimi come lui erano avari, decisero di raccogliere la frutta all’alba in modo da non essere visti dai poveri e non dover dare così nulla a loro. Credevano di non avere nessun dovere nei confronti dei bisognosi. Probabilmente ritenevano che loro padre avesse sbagliato per tutta la vita ed erano indifferenti nei confronti della sofferenza e della povertà degli altri. Così decisero di effettuare il raccolto un giorno all’alba, ma il mattino, quando giunsero alle porte del frutteto, si accorsero che la sera prima era stato bruciato dai fulmini. Dio li aveva castigati per la loro avarizia. Se ne accorsero e seppero di avere sbagliato!

Forse la bellezza e la forza del Corano e’ che per spiegare un concetto, non usa un esempio immaginario, ma una vicenda reale riguardante la vita dei popoli passati.

Quì ci accorgiamo che secondo il Corano, quando i soldi e gli averi vengono considerati solo come un mezzo per raggiungere l’obbiettivo finale della vita, allora non sono visti come un qualcosa di negativo. Ma se la ricchezza diventa un obbiettivo in se e per se ed anzi induce l’uomo a calpestare i suoi valori, allor e’ sicuramente un qualcosa di brutto.

Per questo l’Islam non solo ha istituito il pagamento di somme sottoforma di Khums e Zakat ma ha pure raccomandato la donanzione, supererogatoria, ai bisognosi.

Bisogna sempre tener conto che la bramosia di ricchezza e l’egoismo alla fine nuoce anche ai ricchi perchè la povertà ed il disagio in una società alla fine sfocia in fenomeni che colpiscono tutti senza fare eccezione.

Per questo il buon musulmano, seguendo la tradizione del profeta e della sua immacolata progenie, deve cercare di aiutare, nel limite delle sue capacità, i bisognosi della propria società.

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Il sesto Imam della fede sciita, e sacro discendente del profeta dell’Islam, l’Imam Jaafar Sadiq (la pace sìa con lui), era proprietario di un grande frutteto che aveva quattro porte sui suoi quattro lati. Quando i frutti erano maturi ordinava che aprissero tutte e quattro le porte, e non solo una, affinchè i bisognosi potessero andare a prenderne i frutti. Ciò, secondo gli storici, per agevolarne lo spostamento e ridurre loro la fatica.

La vicenda delle persone avare che vi abbiamo narrato oggi dal Corano, a cui il testo sacro si riferisce con il termine “quelli del giardino”, ci vuole insegnare che non dobbiamo essere solo noi e la nostra famiglia ad usufruire della nostra ricchezza ma dobbiamo offrire anche agli altri parte di ciò che abbiamo affinchè preghino per noi e Dio l’Altissimo, colui che ci ha donato i nostri averi, possa essere soddisfatto di noi e ci possa premiare ancora con la Sua Misericordia.

Inoltre, se anche una persona sbaglia, ha sempre la possibilità di chiedere perdono al Signore. Quelli del giardino, come si apprende dal Corano, fecero proprio così e si accorsero del loro errore e per questo chiesero perdono e vennero premiati da Dio.

Purtroppo ci sono anche esseri umani che pur accorgendosi di avere sbagliato e dinanzi all’esito dei propri errori, perseverano e si ostinano nell’errore e nel peccato. Per loro, assicura il Corano, vi sarà un castigo doloroso, pure in questa vita ma soprattutto nell’altra.

 

 

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