Lug 18, 2016 08:03 CET
  • Fanatismo: il falso volto dell’Islam (18)

Amici nelle puntate precedenti, come ricorderete, vi abbiamo parlato dell’intercessione ovvero “Shafa’a” nell’Islam, un concetto che fu contrastato e respinto da Ibn Taymyya ed i suoi seguaci salafiti tra cui Muhammad Ibn Wahhab.

Secondo la tradizione islamica  in termini assoluti, l’intercessione appartiene solamente ad Allah, che da’ la facoltà di esercitarla esclusivamente a chi vuole Lui tra cui il Profeta e gli awuli ullah. E per sostenere questo concetto vi abbiamo riportato numerosi prove coraniche e hadith autentici attribuiti al Profeta(as) che lo confermavano.

Davanti a queste prove testuali, gli oppositori del concetto di intercessione e in particolare i salafiti sollevano in genere due obiezioni riguardanti il fatto che, benché autentica e lecita, la pratica dell’intercessione dei profeti e dei credenti sarebbe confinata da un lato al solo Giorno del Giudizio, e dall’altro, anche ammettendola per quanto riguarda i periodi antecedenti, essa sarebbe subordinata al periodo in cui gli intercessori furono vivi, non essendo lecito credere che la loro intercessione possa avvenire anche dallo stato intermedio dell’oltretomba.

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Tuttavia entrambe le obiezioni sono inconsistenti, e per quel che concerne la liceità dell’intercessione anche nel periodo antecedente al Giorno del Giudizio, abbiamo già citati diversi versetti coranici tra cui quello della sura Al-Imran(la famiglia di Imran):”È per misericordia di Allah che sei dolce nei loro confronti! Se fossi stato duro di cuore, si sarebbero allontanati da te. Perdona loro e supplica che siano assolti...”(3,159)

Per quel che concerne invece la presunta impossibilità di intercèdere dalle loro tombe ascritta ai profeti e agli awliyà, dovuta al loro essere morti, essa non tiene conto di due dati semplicissimi: il primo è che la vita terrena non è condizione senza la quale non si può esercitare la facoltà di intercedere rispetto alla vita oltretomba che tutti i defunti conducono nei prolungamenti post-mortem della loro individualità in attesa del Giorno della Resurrezione, perché tale facoltà è legata al permesso di Allah e non alla particolare condizione nell’esistenza dell’intercessore, sia essa oltretomba o terrena.

In secondo luogo, coloro che negano la facoltà di intercedere ai defunti non tengono conto o negano che la vita oltretomba dei profeti e degli awliyà è ancora diversa rispetto a quella di tutti gli altri defunti.  A tal proposito il Profeta(as) affermò: “Io sentirò chiunque invochi benedizioni su di me presso la mia tomba, e se le invoca lontano da essa, vengo informato di esse”

E ancora l’Inviato di Dio disse: “Sono in dovere di intercedere su chiunque visiti la mia tomba”.

Se i profeti sono vivi, lo sono anche coloro che sono caduti nel compimento del Jihad , secondo l’esplicita testimonianza coranica:

“Non considerare morti coloro che sono stati uccisi sul sentiero di Allah. Invece sono vivi e ben provvisti dal loro Signore, lieti di quello che Allah, per Sua Grazia, concede” (Cor. 3,169-170).

 

Tuttavia il Jihad è prima di tutto lo sforzo di purificazione dalle proprie passioni e di avvicinamento al proprio Signore, secondo l’hadith che afferma: “Il vero Jihad è quello che uno combatte contro la sua anima per obbedire a Dio”.

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Alla luce di tutte queste prove, è chiaro che il concetto di intercessione è solidamente fondato sul Corano e sulla Sunnah, e come tale legittimato all’interno della sapienzialità islamica.

Intimamente legata alla legittimità della pratica dell’intercessione, e anch’essa oggi rifiutata da una parte di quelli che pretendono con ciò di richiamarsi all’insegnamento dei salaf, v’è la pratica della visita alle tombe dei profeti e degli awliyà allah. Contrariamente a quanto ritengono coloro che la avversano, visitare le tombe dei profeti e degli awliyà  e mettersi intenzionalmente in viaggio per ottemperare a tal compito, è anch’essa pratica riconosciuta come legittima dai sapienti non solo sciiti ma anche sunniti. In un hadith, riferita da al-Bayhaqi, il Profeta(as) disse “… perchè visitare le tombe ammorbidisce i cuori e fa ricordare l’aldilà”. In un altro hadith che è stato riportato da Muslim citando Aish’a (moglie del Profeta) disse che il Profeta si recava spesso nel cimitero di al-Baqi durante la notte, e diceva [rivolto verso le tombe]: “Pace su di voi, o defunti...Oh Allah! Perdonali!”.

La visita alle tombe è pratica non solo lecita, ma per molti perfino raccomandabile. Quando si tratta di comuni credenti, essa può avere lo scopo di essere un ricordo dell’ineluttabilità della morte e della necessità di prepararsi ad essa nel migliore dei modi, di salutare i defunti, e di invocare il perdono di Allah l’Altissimo su di loro. Trattandosi di profeti e di awliyà essa può avere lo scopo di chiedere la loro intercessione (tashaffu, tawassul) o il loro aiuto (istighata), e di ricevere le loro benedizioni (tabarruk), oltre che per ottemperare all’adab della visita pia.