Pars Today, notizie dall'Iran e dal Mondo;
Il problema di Gaza è solo il riconoscimento della Palestina?
Pars Today – Mentre i bombardamenti incessanti sulla Striscia di Gaza sono entrati nel ventesimo mese e le immagini scioccanti dei bambini uccisi sono diventate parte della quotidianità del Vicino Oriente, quattro paesi europei hanno emesso una dichiarazione congiunta chiedendo l’adesione a pieno titolo dello Stato di Palestina alle Nazioni Unite.
Spagna, Irlanda, Slovenia e Norvegia, sottolineando che questa decisione «non è solo un atto simbolico o politico» ma un segnale di «impegno verso il diritto internazionale», si sono di fatto unite ai paesi che insistono sulla necessità della creazione di uno Stato palestinese indipendente, nel quadro delle risoluzioni delle Nazioni Unite.
In precedenza, Spagna, Irlanda e Norvegia avevano già riconosciuto ufficialmente lo Stato di Palestina, nonostante la forte opposizione del regime sionista.
Anche altri paesi, come la Francia, hanno minacciato di riconoscere la Palestina con Gerusalemme Est come capitale, in reazione ai crimini diffusi commessi dai sionisti a Gaza.
La Francia sta cercando di ospitare, insieme all’Arabia Saudita, una conferenza internazionale a New York.
L’obiettivo della conferenza, prevista tra il 17 e il 20 giugno, è quello di elaborare una «roadmap per la creazione di uno Stato palestinese» e «garantire la sicurezza di Israele».
Ma la domanda principale è: queste azioni, pur necessarie, sono davvero una risposta sufficiente al genocidio quotidiano che sta avvenendo ora a Gaza? Le sole dichiarazioni diplomatiche possono forse salvare la vita dei bambini affamati e feriti nei campi di Rafah e Deir al-Balah? O si tratta solo di parte di un gioco diplomatico nel mezzo del completo crollo della legittimità morale dell’Occidente agli occhi del mondo?
In risposta alla nuova ondata di riconoscimenti della Palestina, Gideon Sa’ar, ministro degli Esteri israeliano, ha minacciato che, se paesi europei come Francia e Regno Unito riconosceranno la Palestina, Israele in risposta applicherà ufficialmente la propria sovranità su tutte le colonie ebraiche della Cisgiordania.
Questa minaccia esplicita, più che mostrare forza, rivela una profonda paura del crollo del monopolio narrativo israeliano nei circoli occidentali.
La presa di posizione di alcuni governi europei nel riconoscere la Palestina, pur essendo simbolica, è in evidente contrasto con le politiche del regime sionista, che da decenni nega l’esistenza della Palestina attraverso violenza militare e occupazione.
Ma questo passo diplomatico europeo può davvero esercitare una pressione tangibile su Israele, o è solo una manovra politica per coprire la complicità occidentale nel genocidio di Gaza?
Quello che oggi vediamo nelle strade d’Europa, da Londra a Madrid, sono manifestazioni di decine di migliaia di persone che chiedono la fine incondizionata del genocidio e l’imposizione di sanzioni contro Israele.
Il movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni contro Israele) sta riprendendo vigore nelle università, nei consigli comunali e nei partiti politici europei, ma a livello di governi assistiamo solo a una serie di azioni politiche e simboliche in risposta al genocidio dei palestinesi a Gaza.
L’esperienza europea nel fronteggiare l’invasione russa dell’Ucraina dimostra che questo continente ha la capacità di esercitare forti pressioni economiche e diplomatiche.
Negli ultimi tre anni, l’Unione Europea ha approvato 17 pacchetti di sanzioni contro Mosca, ha bloccato i beni russi e ha vietato l’esportazione delle tecnologie più avanzate al paese. Ma nei confronti di Israele non è stata nemmeno disposta la sospensione della vendita di armi.
Secondo rapporti di organizzazioni indipendenti per i diritti umani come Human Rights Watch e Amnesty International, una parte significativa delle bombe che cadono sulla popolazione di Gaza ha origine europea.
Francia, Germania, Italia e Regno Unito sono tra i principali esportatori di componenti per droni, sistemi radar e materiali esplosivi a Israele. Molti di questi materiali continuano a essere spediti a Tel Aviv per uccidere sostanzialmente i bambini e i civili palestinesi.
Mentre le immagini della morte di bambini nelle scuole e negli ospedali di Gaza sconvolgono il mondo, il regime sionista blocca allo stesso tempo l’ingresso degli aiuti umanitari nella regione.
Secondo i rapporti delle Nazioni Unite, meno del 20% dei camion carichi di cibo e medicine ha ricevuto l’autorizzazione a entrare a Gaza. La politica chiara e documentata di Israele, come ha affermato Francesca Albanese (relatrice speciale ONU per i diritti umani in Palestina), si basa sulla «privazione sistematica del popolo di Gaza per costringerlo a un trasferimento forzato», esattamente il crimine che il diritto internazionale definisce come «pulizia etnica».
Sebbene l’approccio dei paesi europei al riconoscimento della Palestina sia un passo verso la giustizia storica, questo processo è accompagnato da gravi ritardi, contraddizioni evidenti e incapacità di fermare la macchina bellica israeliana.
Ciò di cui il popolo palestinese ha oggi più bisogno è la cessazione immediata dei massacri, la riapertura dei valichi di frontiera, l’ingresso continuo degli aiuti umanitari e, infine, una pressione internazionale per l’attuazione delle risoluzioni delle Nazioni Unite.
Il riconoscimento della Palestina, se non sarà accompagnato da un embargo sulle armi contro Israele, dal divieto di importazione dei prodotti provenienti dagli insediamenti e da una pressione diplomatica totale, avrà un solo significato: coprire la complicità con i sionisti nel genocidio di Gaza.
Potete seguirci sui seguenti Social Media:
Instagram: @parstodayitaliano
Whatsapp: +9809035065504, gruppo Notizie scelte
X (ex Twitter): RadioItaliaIRIB
Youtube: Redazione italiana