Iraniani Famosi (30): Nasser Khosrò Ghobadianì, detto Hojjat
In questo programma vi presentiamo i personaggi della nostra terra che soprattutto per via di alcuni cambiamenti degli ultimi due secoli della geografia dell’Iran sono talvolta oggetto di pretese da parte di nazioni straniere. In questo programma conosceremo il famoso poeta e filosofo persiano dell’undicesimo secolo Nasser Khosrò Ghobadianì.
Abu Moein Nasser Ibne Khosrò Ibne Hareth Ghobadianì, detto “Hojjat” e’ uno dei più grandi poeti, letterati e filosofi della storia iraniana, vissuto nell’undicesimo secolo cristiano. Nacque nel 1003 d.C. a Ghobadian, vicino a Balkh, località storica del grande Khorasan persiano. Nelle sue poesie cita se stesso ed il padre con l’appellativo di Hojjat, un titolo che gli era stato concesso dai califfi Fatimidi e che in pratica rivelava la sua posizione religiosa tra gli Ismailiti.
Nasser Khosrò e’ conosciuto tra gli iraniani soprattutto per la sua maggiore opera, il Safarnamè o Diario di Viaggio. All’inizio di questa famosissima opera, Nasser Khosrò si autodefinisce Ghobadianì Marvazì, e secondo alcuni studiosi, ciò perchè sarebbe originario di un’altra località dal nome Ghobadian che si trova vicino a Marv; altri invece affermano che questa sua presentazione e’ dovuta al fatto che prima della sua partenza per il lungo viaggio che lo portò in molte zone del mondo allora conosciuto, egli viveva a Marv e lavorava alla corte come scriba. Questa seconda teoria e’ più attendibile anche perchè nelle sue poesie Nasser Khosrò presenta Balkh come sua casa e sua patria. Ed infatti, a Balkh, Nasser Khosrò possedeva poderi e terreni che erano della sua famiglia.
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Secondo i testi storici, Nasser Khosrò nacque in una famiglia di letterati e studiosi che di solito lavoravano negli uffici governativi e a corte; lui ebbe però una vita piena di alti e bassi. Da quando era bambino si dedicò allo studio di scienze come la filosofia, l’astrologia, la medicina, la geologia, la geometria euclidea, la musica, le scienze religiose, la pittura e la letteratura.
Oltre allo studio di diverse scienze, ebbe una breve residenza in Egitto dove insegnò matematica, algebra e geometria. Oltre al persiano parlava molto bene anche l’arabo e ciò lo si può dedurre anche dalle sue poesìe.
Quando era giovane, Nasser Khosrò, studiò le diverse religioni per trovare una risposta alle sue domande sulla vita e l’universo; oltre alle diverse ramificazioni dell’Islam, lui studiò anche l’induismo, il cristianesimo, l’ebraismo, lo zoroastrismo ed il manicheismo.
Prima dei 30 anni divenne scriba alla corte del re del Khorasan e servì anche presso grandi re come Mahmoud e Masoud Ghaznavide. Lì lui si presentò anche come un grande poeta e letterato e lo Shà arrivava a definirlo “Khajè Khatir” (Importante Signore). Nasser Khosrò era quindi, all’apogeo della sua carriera, un poeta di corte ed uno che come gli altri poeti a lui contemporanei componeva lodi al re.
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Nasser Khosrò dopo aver trascorso quarant’anni di vita nel benessere della corte ed essersi immerso nei piaceri mondani, poco alla volta si risvegliò dal sonno e si allontanò dalla mondanità della corte e si mise alla ricerca della verità. Per questo lasciò di colpo la sua vita agiata per intraprendere un lungo viaggio attraverso l’Asia Centrale e l’India. Alla fine quando aveva 43 anni al suo errare pose fine un sogno che gli indicava la direzione della Mecca. Nasser Khosrò partì quindi per la penisola araba ed il suo viaggio di andata e ritorno durò circa 7 anni. Quel viaggio, che Nasser Khosrò fece insieme al fratello, fu l’inizio di una nuova fase nella sua vita. Nasser Khosrò in questo periodo effettuò il pellegrinaggio per quattro volte e visse in Egitto per circa 3 anni. Lui abbandonò per sempre la vita mondana della corte.
Al suo ritorno a Balkh molte persone si misero contro di lui e per questo venne esiliato a Badakhshan, regione montuosa dell’allora Persia e dell’odierno Afghanistan.
Nasser Khosrò si spense infine nel 1088 nel suo eremo solitario e sperduto, lontano dall’attenzione dei suoi contemporanei. Per via del suo Diario di Viaggio, sarà però uno dei più grandi della storia della letteratura persiana.
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