Dic 23, 2019 14:47 CET
  • Iraniani Famosi (242): Hafez di Shiraz (p.7)

Cari amici, anche in questa puntata proseguiamo l’avvincente discorso su Hafez, uno degli iraniani più famosi di tutti i tempi, grandioso poeta del 14esimo secolo d.C.

Prosegue su Radio Italia IRIB la presentazione delle opere di Hāfez, per esteso Khāje Shams o-Dīn Moḥammad Ḥāfeẓ-e Shīrāzī, vissuto a Shiraz tra il 1315 ed il 1390 d.C., tra i più grandi mistici e poeti della Persia. Nel corso della settimana precedente abbiamo parlato del grande poeta persiano Hafez e della sua influenza sui letterati occidentali. Ma che cosa aveva folgorato gli scopritori occidentali del grande poeta di Shiraz? La poesia di Hâfez apparve al Pizzi e a von Hammer Purgstall un inno incontenibile alla gioia di vivere, al vino e al libero amore, qualcosa di vitale e trasgressivo che indubbiamente strideva con la seriosa e compassata cultura dell’Italia e della Germania all’indomani della raggiunta unità nazionale. Hâfez nella sua perorazione per il “piacere di vivere” inevitabilmente si scontra con le rigidità dell’etica islamica e degli ulema, suoi severi custodi, che non a caso sono il bersaglio polemico di molti dei suoi versi più caustici e “libertini”. Questa verve polemica, che spesso si colora di forti tinte satiriche e irriverenti insinuazioni sui vizi palesi e nascosti di dottori e asceti, costituisce uno  degli aspetti salienti della poesia hafeziana. Nell’Italia unitaria, percorsa da correnti antipapiste e impregnata di anticlericalismo, la poesia di questo persiano cantore di amori proibiti e allegre baldorie dovette apparire come una “laica” coraggiosa denuncia della cappa di ipocrisie e di conformismo, della violenza palese e nascosta che le istituzioni e i dogmi oppongono alla ricerca individuale della felicità.

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In Germania vi fu persino un movimento a metà ‘800 che portò con successo nella poesia tedesca la forma del ghazal (una sorte di ode lirica, strumento prediletto da Hâfez), dando inizio a un genere che è stato coltivato fino a oggigiorno. Tra i suoi entusiasti ammiratori vi fu Friedrich Rueckert, poeta, traduttore e uno dei grandi “orientalisti” tedeschi dell’ ‘800 che dirà: Hâfez, quando sembra che parli di Sovrasensibile / parla in verità del Sensibile. O non è che, quando sembra parlare del Sensibile / parli in realtà di Sovrasensibile? Il suo segreto non è al di là dei sensi / poiché invero è il suo Sensibile ch’è Sovrasensibile! In questi pochi versi famosi si potrebbe dire è sintetizzata l’arte e il mistero della scrittura di Hâfez che, mentre canta apparentemente solo le gioie della vita, il vino e gli amori proibiti, sembra sottilmente – “cifratamente” – additare in continuazione a un Oltre, a un Sovrasensibile, che si inscrive però integralmente nella sfera dei sensi. Una delle questioni più dibattute, anzi la questione hafeziana per eccellenza, sta in effetti tutta nella interpretazione in chiave edonistico-epicurea o piuttosto simbolico-spirituale del dettato del Canzoniere. Poeta del piacere e della depravazione o poeta di sensi e significati tutti spirituali, che chiamano in causa la sensibilità (la preparazione) di chi legge? Poesia per tutti o solo per iniziati?

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Egli ci parla delle gioie di Bacco o non piuttosto dell’ebbrezza del mistico? L’”amico” che egli canta è interpretabile come un amore in carne e ossa o non piuttosto come un puro simbolo del divino Amato? Rueckert, come abbiamo visto, ha una risposta straordinariamente penetrante che in qualche modo elude queste domande, o forse le rende inutili. Goethe da par suo dovette intuire, pur attraverso le traduzioni, la grandezza della poesia e del messaggio di Hâfez e avvertire la sua profonda consonanza con la propria Stimmung. L’Iran ha sempre visto del resto in Hâfez un poeta dalla squisita sensibilità gnostica, non solo un virtuoso della parola ma anche e soprattutto un maestro di vita e testimone di una spiritualità inarrivabile. Tanti suoi versi sono interpretabili come pura raffinatissima “teologia in versi”. Nel fosco panorama odierno, che spesso attraverso la lente deformante dei media ci presenta un Islam diverso dal vero, Hâfez è lì a ricordarci la fioritura di un esuberante e ricco “umanesimo musulmano” in pieno medioevo, la vitalità di una poesia che ha avuto legioni di coltivatori in terre persiane o influenzate da questa cultura (aree turcofone, aree centroasiatiche e dell’India musulmana); ed è lì a dimostrarci, soprattutto, come la fede del profeta dell’Islam non sia mai stata incompatibile con i valori umani e la gioia di vivere. Hâfez, che ama e conosce a memoria il Corano citandolo a piene mani nei suoi versi, ci mostra con sublime grazia come il sacro, il divino, si possano misteriosamente scoprire anche tra il piacere di una coppa e il bacio di “labbra di miele”.

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