Iraniani Famosi (45): Molanà Jalaleddin Balkhì, meglio noto come Rumì (p.2)
In questo programma proseguiamo narrandovi le vicende della vita di uno dei genii della poesia di tutti i tempi, un personaggio del 13esimo secolo che negli ultimi anni alcune nazioni hanno cercato di rubare all’Iran. Stiamo parlando del celeberrimo Molanà Jalaleddin Balkhì meglio noto come Rumì.
Abbiamo detto finora che dopo essere nato e vissuto a Balkh per alcuni anni, indusse la famiglia di Rumì a lasciare questa città e ad iniziare un lungo viaggio nei territori dell’Iraq, della Siria e della penisola araba. Al ritorno dal pellegrinaggio, Baha-e-Valad, padre di Rumi, si trasferì inizialmente nella graziosa cittadina di Larendè, nell’odierna Turchia, dove grazie al sostegno del governatore locale, tributario dei Selgiuchidi, riprese le sue lezioni e le sue orazioni. Larendè doveva essere al tempo una città molto bella, ed in essa vi erano anche resti del periodo greco; il governatore locale aveva accolto calorosamente la famiglia dei Rumì dando il nome del padre di Jalaleddin ad una delle madrasa o scuole della città.
Baha-e-Valad era ormai anziano e proprio a Larendè il giovane figlio, Jalaleddin, iniziò a sua volta ad insegnare a seguito dell’insistenza e delle richieste degli allievi del padre. Jalaleddin riuscì ad attrarre sin dall’inizio l’attenzione generale perchè oltre all’ottima conoscenza del Corano, della gnostica, dei detti del profeta e dell’interpretazione del Corano, che lui appunto insegnava, la sua incredibile conoscenza della letteratura araba e persiana aveva reso più che mai dolci ed emozionanti le sue lezioni.
Alaeddin Keighobad, sovrano Selgiuchide, affascinato dalla fama di Baha-e-Valad, che ormai dominava le zone di Arzanjan, Malatia e Larendè, insistette affinchè lui si trasferisse a Qonya, l’allora capitale, che era divenuta un importante centro scientifico.
La corte accolse calorosamente Baha-e-Valad e famiglia e tutta la gente della città si riunì alle porte della città per accogliere quel famoso sapiente iraniano arrivato da lontano. Anche se il sultano dei Selgiuchidi d’Occidente, Alaeddin Keighobad, era pronto a cedere a lui e alla famiglia un palazzo alla sua corte, Baha-e-Valad andò a vivere dal primo giorno nella madrasa della città e ciò fece sì che venisse amato ancor di più dagli abitanti di Qonya.
***
La corte dei Selgiuchidi, era il luogo di riunione di sapienti, scrittori e poeti persiani, dato che il persiano era la lingua burocratica dell’impero; poeti, scribi, storiografi e nobili conoscevano il persiano e scrivevano in questa lingua.
Chiaramente le lezioni di Baha-e-Valad e di Jalaleddin erano in questa lingua ed ogni giorno attraevano sempre più studenti che raggiungevano Qonya da diverse località. Quando Jalaleddin aveva 24 anni suo padre passò a vita migliore ed egli assunse così la responsabilità della famiglia e quella di proseguire l’allevamento dei suoi allievi e studenti. In questo periodo, raggiunse Qonya il maestro dell’infanzia di Jalaleddin ovvero Seyyed Burhanuddin Mohagghegh Tarmazì.
Questo personaggio invitò Rumì a lasciare Qonya e a recarsi ad Aleppo, Damasco e Qeisariyèh; una nuova fase iniziò nella vita di Jalaleddin che tornò a Qonya dopo 7 anni; il giovane Jalaleddin oltre ad un grande sapiente e religioso era divenuto pure uno gnostico di primo livello.
Jalaleddin era ormai considerato un grandissimo mufti e sapienti di rilievo come Serajeddin Ormavi e Sadreddin Qunavì lo consideravano al di sopra di sè; certo le sue lezioni di diritto o interpretazione del Corano erano abbastanza complicate e utili solo per gli studiosi, ma quando pronunciava i sermoni, c’era una grande popolazione e i turchi che conoscevano il persiano riempivano le sale; persino i governatori e i nobili assistevano; la voce attraente, il suo modo dolce e semplice di esprimersi, basato sulla poesia, il racconto e le parabole, incantava tutti. Certe volte il suo tono modesto e sincero induceva chi lo sentiva a pentirsi dei propri peccati e chiedere pubblicamente perdono al Signore per i suoi errori; si dice che a sentire le sue parole alle volte la gente scoppiava a piangere ed e’ certo che ascoltarlo doveva essere davvero un qualcosa di unico. Jalaleddin insegnava oltre che nella madrasa principale anche in altre della sua città e quando camminava era sempre accompagnato dai suoi allievi che lo circondavano; quando passava per una via questa si bloccava, tanti erano i suoi allievi che non lo lasciavano mai.
Inoltre, mentre lui camminava, chiunque, tra la gente, avesse domande sulla religione o sulle questioni della fede chiedeva direttamente a lui e lui si fermava a rispondere con pazienza.
A dare ascolto alle lezioni di Rumi c’erano un pò tutti; il giovane Hesamoddin Chalabì ma anche l’anziano Salahuddin Zarkub Qunavì, un orefice che nei momenti più emozionanti dei discorsi di Rumi era talmente preso dall’entusiasmo da non poter frenare le sue urla di gioia e che era pure amato da Rumì, anche se era analfabeta.
Intanto morì Gohar Khatoun, la prima moglie di Rumì e lui cercò di rimediare alla sua solitudine immergendosi nella solitudine. Intanto i figli di Jalaleddin tornarono a Qonya dopo aver concluso gli studi a Damasco. A questo punto Jalaleddin fu costretto a sposarsi di nuovo e questa volta con Kara Khatoun Qunavì, di stirpe iraniana, che parlava appunto il persiano. La nuova moglie, che a sua volta aveva un figlio ed una figlia dal suo primo matrimonio, riuscì a ridare leggiadria alla casa di Rumi che era divenuta triste dopo la morte della prima moglie.