Iraniani Famosi (48): Molanà Jalaleddin Balkhì, meglio noto come Rumì (p.5)
In questo programma proseguiamo narrandovi le vicende della vita di uno dei genii della poesia di tutti i tempi, un personaggio del 13esimo secolo che negli ultimi anni alcune nazioni hanno cercato di rubare all’Iran. Stiamo parlando del celeberrimo Molanà Jalaleddin Balkhì meglio noto come Rumì.
Lo conoscevano ormai in tutte le terre d'oriente; la sua personalità era decisamente misteriosa. Di lui, Shamseddin Mohammad Malek Dad Tabrizì, si sapeva solo che era alla ricerca della verità; quale verità? Voleva sapere, voleva capire come si poteva raggiungere il più alto grado di vicinanza al Signore. Per questo errava per città e paesi e dovunque discuteva con i teologi e gli studiosi per trovare la sua via verso Dio. Per il suo perenne viaggiare era stato denominato "Shams-e-Parandè", e cioè Shams il Volatile. In una delle sere in cui Shams stava pregando Dio appassionatamente chiese a lui di fargli incontrare qualcuno che dimostrasse a lui la via per raggiungerlo. Insomma di insegnarli quello che bisognava fare, le pratiche e le azioni da compiere per raggiungere il Signore, l'amore reale di ogni essere umano. Shams s'addormentò mentre pregava ed in sogno, vide proprio Molavì.
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Dopo quel sogno, Shams s'incamminò versò Quniè e nel 624 del calendario arabo raggiunse la città. Affittò una stanzetta nel bazar, come se fosse un commerciante. Le giornate si sedeva lì attendendo che Molavì passasse da lì davanti e lui riuscisse a parlare con lui. Di fatto era molto difficile parlare con Molavì perchè egli era circondato dalla folla oceaniche dei suoi allievi che non lo lasciavano solo neanche nel tragito tra casa e scuola. I giorni trascorsero e Shams era sempre più assetato sapere, di poter interrogare Molavì. E così un giorno si gettò tra la folla che circondava il maestro e fu costretto a fare una domanda banale, anzi estremamente banale per attirare l'attenzione del gran Muftì e cioè Molavì.
Da spiegare che Bayazid Bastamì, era un sufì dei secoli scorsi. Dunque Shams chiese ad alta voce: " O sceicco! Rispondimi! Era migliore Mohammad(s) o Bayazid Bastamì? "
La domanda infuriò il gran muftì che teneva lo sguardo basso, senza guardare lo sconosciuto. Rispose con rabbia:
" Mohammad (s) è l'ultimo dei profeti. Bayazid non è paragonabile a Lui ".
Shams non lasciò passare e chiese ancora spiegazioni. Questa volta il gran Muftì lo fisso negli occhi e disse: "Bayazid era frettoloso e al primo goccio di verità che ricevette dal mondo invisibile, perse i sensi. Mohammad(s) riuscì a ricevere dal mondo dell'invisibile tutti quei calici di pura verità senza perdere il suo equilibrio".
Era assolutamente una semplicissima domanda ed una semplicissima risposta, ma Molavì aveva trovato qualcosa di speciale nello sguardo dello sconosciuto. Il sogno di Shams non era casuale e lì c'era qualcosa di sovrannaturale. Molavì capì che lo sconosciuto non era una persona normale. Solo attraverso lo sguardo, anche Shams capì che Molavì lo aveva riconosciuto ed era felice, come poi raccontò. All'improvviso Molavì invitò lo sconosciuto a seguirlo, lo ospitò e con lui rimase a parlare a lungo.
Da quel giorno in poi, il gran Muftì lasciò la scuola, persino la famiglia e l'emissione delle Fatwa solo per parlare e trascorrere tutto il suo tempo con Shams. Era come se due persone si fossero ritrovate dopo anni. I due completavano le loro rispettive conoscenze sulla religione e soprattutto sulle pratiche da eseguire per avvicinarsi sempre più al Signore, ed infine vedere solo Dio, pensare solo a Dio, divenire di fatto la sua mano.
Molavì scrive così una poesìa, rivolgendosi a Shams:
Ero devoto ma mi hai reso un cantante,
un'uomo festeggiante, un'ebbro
mi accostavo su un tappetino per la preghiera per tutto il giorno
mi hai reso lo scherno dei bambini delle strade
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Rumì trascurava clamorosamente la famiglia, la sua vita di grande prestigio e tutto quello che aveva costruito in lunghi anni solo e solamente per rimanere solo dalla mattina alla sera con Shams e parlare con lui. Alle loro discussioni era ammesso solo uno degli allievi di Molavì e cioè Salahuddin. Tra coloro che stavano vicino a Molavì, anche il figlio maggiore Sultan Valad era molto affettuoso nei confronti dell'anziano ospite. Invece l'intera città vedeva di cattivo occhio Shams che aveva sottratto il gran muftì alla società. Persino il figlio minore di Molavì, Alaeddin, era indignato dalla presenza di quello straniero che aveva rubato loro il padre. Molavì era totalmente noncurante di quei sentimenti. Per lui Shams era una porta verso il mondo dell'invisibile.