Iraniani Famosi (88): Il periodo Timuride (p.3)
Oggi proseguiamo il disorso sul periodo Timuride ed il grande scienziato e studioso persiano Amir Alishir Navai’.
Il periodo della dinastia dei Timuridi in Iran, e’ stato uno dei più fiorienti della storia della Persia, per via del forte sostegno che questa dinastia di origini mongoliche ha dato alla cultura ed alla scienza.
Abbiamo iniziato a parlarvi, nelle puntate precedenti, di Amir Alishir Navaì, primo ministro e gran visir di grande spessore del sultano Hussein Bayaqra.
Amir Alishir nacque nel 1441 a Herat, nell’allora Persia, in una famiglia di letterati; dopo aver condotto gli studi, raggiunse la posizione di gran visir ed in tale veste diede un contributo fortissimo alla civiltà dell’Iran.
Sotto la sua protezione, artisti e scienziati ebbero il più forte sostegno per il proprio lavoro e per questo la corte Timuride si trasformò presto in un potente centro culturale e scientifico.
Amir Alishir Navaì, però, fu infine costretto a dare le dimissioni per l’invidia dei cortigiani; concluse la sua carriera con il governatorato, di due anni, della regione di Estar Abad, dove si spense sedicesimo secolo cristiano.
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Autore di oltre 30 opere in persiano e turco, i suoi scritti più famosi giunti fino ai giorni nostri sono le liriche, il Khamse, il poema Lesan al Tair, il saggio Majales an Nafaes, il Manshaat e la raccolta di poesie in persiano e turco.
Amir Alishir Navai viene considerato il padre della poesia Joghatai turca, per via soprattutto del suo Lesan al Tair, scritto in questa lingua imitando il Mantegh al Tair (il verbo degli uccelli) del poeta Attar di Neishabur.
Secondo alcuni studiosi, Amir Alishir avrebbe scritto anche poesie in arabo ma queste, perlomeno, non sono giunte fino ai giorni nostri. Ad ogni modo, viene soprannominato dagli studiosi come “Zulesanein” (Il padrone di due lingue), per gli ottimi versi sia in turco che persiano.
Secondo gli studiosi, Amir Alishir prese la maggiore influenza da Abdolrahman Jamì, poeta persiano del sedicesimo secolo. Il gran visir dei timuridi affermava che lui era come un commerciante che avesse aperto due negozi nel bazaar; vendeva zucchero e miele nel primo negozio, ossia quando scriveva poesie in farsi e vendeva oro nel secondo negozio, ossia quando scriveva versi in turco. Per quanto concerne le idee ed il suo pensiero, molti lo hanno ritenuto un seguace di Hafez di Shiraz, grande poeta e gnostico del 14esimo secolo.
Amir Alishir Navaì introdusse nella sua poesia anche gli indovinelli, tradizione in cui poi venne imitato da molti.
Per quanto riguarda le poesie, amava imitare lo stile degli altri grandi della letteratura persiana, ma in alcuni casi le sue poesie erano totalmente nuove; in ogni caso, lui non riteneva brutto imitare lo stile dei grandi ma una dimostrazione di rispetto nei loro confronti.
Il suo pseudonimo nella poesia turca era Navaì ma in quelle persiane si firmava con il nome di Fanì.