Gen 12, 2017 12:08 CET
  • Fiabe persiane (85): l'orefice e il governatore + proverbio

Nel nome di Allah che con Saggezza infinita, scrisse la fiaba che noi chiamiamo vita. Anche questa settimana è giunto il momento dell’appuntamento con la narrativa persiana e come sempre ci sono per voi prima un’antica fiaba persiana e poi la storia che ha dato vita ad un proverbio popolare persiano.

C’era taluno, non c’era qualcuno, oltre al buon Dio non c’era nessuno.

Si narra che in antichita’ viveva in una citta’ un orefice benefattore e devoto del Signore. Lui si svegliava ogni giorno all’alba per pregare e subito dopo la preghiera usciva di casa per raggiungere la sua bottega che si trovava esattamente davanti al palazzo del governatore della citta’. Lui ogni mattina, prima di alzare la saracinesca del suo negozio alzava le mani verso il cielo e diceva: “O Sapiente che elargisci la Grazia, la tua potenza e’ immensa e tu sei capace di ogni cosa; se qualcosa cade nella profondita’ dei mari, la tua potenza e’ in grado di farla ritornare sulla terra ferma”. Dopo aver recitato questa preghiera l’uomo apriva bottega ed iniziava il lavoro quotidiano.

Il governatore della citta’ che a quell’ora dormiva ancora veniva svegliato ogni mattina dalla sincera preghiera dell’orefice. Un giorno il governatore si alzo’ arrabbiatissimo e disse: “Chi e’ che ogni giorno mi sveglia con questa voce fastidiosa rovinando il mio dolce sonno?”.

Il governatore mando’ a fare delle ricerche il suo servo e comprese che si trattava dell’orefice che aveva la sua bottega proprio lì davanti. Per questo decise di vendicarsi di lui.

Il governatore prese uno dei suoi anelli che aveva come gemma un grosso diamante, chiamo’ il suo ministro ed insieme a lui si diresse verso la bottega dell’orefice.

L’orefice non riusciva a credere ai suoi occhi quando vide il governatore ed il ministro entrare nella sua bottega. Il governatore disse: “O uomo! Questo anello ha come gemma questo diamante che vale mille migliaia di monete d’oro. Io pero’ ho paura di perderlo. Per questo sono venuto da te’ per farmi costruire, con del vetro colorato, una falsa gemma assolutamente identica a quella autentica. Questo per poter portare sempre al dito l’anello e mettere quello autentico solo nelle occasioni importanti”.

Dunque il governatore diede la gemma autentica all’orefice e gli disse di stare bene attentato a non perdere quel tesoro. L’orefice ripose con attenzione la gemma nella sua cassaforte ma prima che potesse chiudere la porta della cassaforte il governatore chiese dell’acqua. L’orefice che voleva essere cortese lascio’ lì la gemma ed ando’ a prendere l’acqua. Il governatore allora prese veloce la gemma dall’interno della cassaforte e la mise in tasca. Quando l’uomo torno’ bevette l’acqua come se niente fosse e poi disse: “Hai tre giorni di tempo per fare l’anello. Tornero’ da te fra quattro giorni. Ma sappi che se perderai la gemma dovrai pagare con la tua testa”.

Il governatore disse questo ed usci’ dalla bottega col suo ministro. Per essere sicuro della morte dell’orefice si reco’ al porto, sali' su una nave e quando furono in alto mare prese la gemma dalla sua tasca e la butto’ in mezzo all’acqua. Fatto questo torno’ al suo palazzo e penso’ che tra quattro giorni si sarebbe liberato di quell’orefice fastidioso.

L’orefice, poverino, ignaro del destino a cui andava incontro, chiuse la bottega e corse a casa per raccontare tutto alla moglie e dirle che aveva ricevuto un lavoro dal governatore della citta’ e che lo avrebbero pagato sicuramente molto bene.

Sua moglie pero’ gli disse che non doveva lasciare l’anello nella bottega e per questo lo convinse di tornare e di portare sempre con se’ l’anello. L’orefice ando’ con la moglie alla sua bottega per fare prelevare l’anello dalla cassaforte ma quando la apri’ non trovo’ nessun anello.

Penso’ che qualcuno l’avesse rubato o che fosse caduto da qualche parte. Mise sottosopra la sua bottega aiutato dalla moglie ma non trovarono nulla.

E cosi’ passarono tre giorni. Il governatore della citta’ per tre mattine non aveva piu’ sentito di mattina presto la preghiera dell’orefice. Il governatore, baldante e felice della sua vittoria sicura, disse al ministro: “Hai visto? Ci sono riuscito. Sono tre giorni che l’orefice non viene a guastarci le feste con la sua preghiera e per di piu’ domani lo faro’ uccidere”.

Giunse il quarto giorno ma la mattina presto il governatore venne di nuovo svegliato dalla preghiera dell’orefice.

Furibondo usci’ dalla sua residenza pochi minuti dopo insieme al suo ministro ed un soldato e si diresse verso la bottega dell’orefice.

 Appena entrato gridò: “E’ giunto il giorno stabilito! Portami subito i due anelli altrimenti questo soldato ti stacchera’ la testa dal collo”.

L’orefice ando’ verso la cassaforte e prese una bellissima confezione e la apri’ delicatamente mostrandola al governatore: in essa c’era proprio l’anello autentico ed anche la copia perfetta di questo.

“Ma e’ impossibile. Dove hai trovato l’anello. L’avevo gettato in alto mare con queste mie stesse mani”.

L’orefice disse: “Dopo che mi sono accorto che l’anello mancava sono andato a casa perche’ ero triste e non sono piu’ riuscito a venire a lavoro. Per due giorni non ho mangiato nulla. Mia moglie e’ andata al mercato ed ha comprato un pesce. Quando l’ha portato a casa nella sua pancia ha trovato un anello. Quando lo vidi compresi che era proprio il vostro. Sono subito venuto in bottega ed ho lavorato tutta la notte ed ora ecco fatto il lavoro che mi avevate chiesto”.

Il governatore non riusciva a crederci. All’improvviso capi’ che non poteva contrastare una forza superiore alla sua e cosi’ prese in braccio l’orefice e disse: “Che sia lodato Dio! Tu sei veramente un uomo benefattore. Io ti chiedo scusa per tutto il male che ti ho fatto”.

Dopo diede all’orefice 10 mila denari e gli disse: “Ti ordino di svegliarmi ogni mattina con la tua preghiera. Quella preghiera che dice O Sapiente che elargisci la Grazia, la tua potenza e’ immensa e tu sei capace di ogni cosa; se qualcosa cade nella profondita’ dei mari, la tua potenza e’ in grado di farla ritornare sulla terra ferma”.

***

Ed ora e’ giunto il momento del proverbio persiano di oggi. In Iran si dice “Non hai la forza per domare l’asino e ti metti a picchiare la sella?”. Ma ora vediamo cosa significa questo proverbio e per capirlo vi raccontiamo la storiella che secondo gli iraniani l’ha originato.

Si narra che in antichita’ viveva un’uomo molto affettuoso che lavorava dalla mattina alla sera; possedeva un asino con cui trasportava le merci e cosi’ riusciva a guadagnare il suo pane quotidiano. Un giorno pero’, mentre stava camminando vicino al suo asino carico di merci, l’animale inizio’ a saltellare e a buttare per terra le merci. L’uomo disse: “Cosa fai? Che ti prende?”.

Ma l’asino monello continuava a scalciare e per di più inizio’ a scappare.

Il padrone lo rincorse per tutta la citta’. Quando lo prese la gente inizio’ a dare consiglio all’uomo. “Guarda che questo asino lo devi picchiare”, disse uno. “Non dargli da mangiare e da bere e vedrai che fara’ il bravo”, disse un’altro.

L’uomo torno’ a casa e porto’ l’asino nella stalla e non gli diede da mangiare. Dopo un’ora pero’ l’asino inizio’ a ragliare e a lamentarsi. Il padrone all’inizio non fece caso ma essendo molto affettuoso alla fine gli diede lo stesso acqua e cibo.

L’indomani pero’ l’asino scappo’ di nuovo e questa volta dopo un lungo inseguimento, l’uomo prese l’asino, lo lego’ ma poi fece una cosa strana.

Non voleva picchiare l’animale ma voleva che avesse paura. Per questo prese la sella dell’asino, la mise per terra ed inizio’ a dare delle violente frustate sulla sella.

La gente che stava nei dintorni inizio’ a ridere. Una di loro chiese: “Ma cosa fai?”. “Sto cercando di educare il mio asino”.

“Ma come non hai la forza per domare l’asino e ti metti a picchiare la sella?”.

Da allora, quando in Iran una persona non e’ in grado di vendicarsi del male subito da una persona con quella stessa persona e quindi sceglie di colpire i suoi parenti o famigliari, a lui di dice: “Ma come non hai la forza per domare l’asino e ti metti a picchiare la sella?”.

a cura di Davood Abbasi

 

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