Ago 07, 2018 14:21 CET
  • Iraniani Famosi (62): Sohravardì (p.4)

Anche oggi si parla di uno dei più grandi filosofi della storia umana, ovvero Sohravardì.

Gentili ascoltatori, nel corso delle puntate precedenti vi abbiamo parlato dei dati biografici di Sohravardì, il grande filosofo e mistico persiano del 12esimo secolo che fu l’ideatore dell’Ishraq, una teoria filosofica che basandosi sull’Islam e la tradizione platonica e persiana pre-islamica, insegna come scoprire e come avvicinarsi alla verità.

Shoravardì nacque nel 549 dell’egira e si spense nel 587, all’età di 38 anni con la congiura dei capi religiosi di Aleppo che strapparono a Saladino l’ordine della sua esecuzione.

Abbiamo detto che l’esito della breve ma generosa vita di Sohravardì furono numerose opere, trattati e parabole che secondo i ricercatori ci mostrano il vero pensiero di questo filosofo. L’uso abbondante di parabole e racconti da parte di Sohravardì influenzò notevolmente anche la letteratura persiana ed ispirò grandi che passarono alla storia come Attar, Rumì e Hafez.

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Una delle opere in persiano di Shahabeddin Sohravardì e’ il Risalat al Luqat, corretto e tradotto in inglese per la prima volta da Otto Spies e Khatak che insieme ad altri due trattati diedero all’opera il titolo di “Tre saggi sul sufismo”. La versione persiana di questo trattato, insieme alla traduzione in francese, venne realizzata nel 1935 grazie al lavoro di Henry Corbin, Paul Krauss e Seyyed Hossein Arab. Loqat Muran e’ un’altro trattato di Sohravardì, questa volta in persiano, incentrata unicamente sul sufismo. La traduzione di Loqat Muran e’ “Lingua delle formiche” ed in questo trattato Sohravardì si finge una formica, e descrive il cammino di essa. L’intera opera e’ simbolica, la formica e’ il simbolo dell’uomo in cammino verso Dio, le tappe che supera la formica, sono quelle che l’uomo deve attraversare durante la sua esistenza terrena. Durante questo trattato Sohravardì racconta anche diverse fiabe del mondo degli animali; si parla anche del Jam-e-Jam, la palla di vetro di Jamshid che nella terminologia sufi e’ il simbolo del cuore puro e privo di inquinamento del fedele. In generale l’argomento di quest’opera e’ il cammino interiore verso Dio, un tema caro ai sufi e si può dire argomento centrale delle loro opere.

Il fatto che Sohravardì abbia usato il linguaggio delle parabole e dei racconti per esprimere le sue idee filosofiche e religiose e’ motivo di dibattito tra gli studiosi; sicuramente le condizioni della società erano una delle questioni che lo costringevano ad essere riservato e ad esprimersi con una sorta di codice; egli intendeva inoltre dare maggiore bellezza alle sue opere e renderle attraenti per la gente.  

Nel trattato Loqat Muran, Sohravardì usa frequentemente pure poesie arabe e persiane, un qualcosa che non può essere definito sua abitudine dato che nell’opera Avaz-e-Par-e-Jebreil, non vi è nemmeno un verso. Sempre nel Loqat Muran sono abbondanti i versetti coranici che rendono difficile il testo che a quanto pare Sohravardì aveva scritto rivolgendosi a quel pubblico iraniano colto che aveva anche una buona conoscenza dell’arabo.

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Il trattato Loqat-e-Muran inizia col discorso tra alcune formiche che si chiedono se una goccia di rugiada sia della terra o del cielo. Le formiche, dopo aver osservato bene la goccia, si accorgono che essa evapora e per questo concludono che appartiene al cielo. Sohravardì ricorda quindi che ogni cosa ritorna nel luogo da cui e’ venuta e che per questo chi ha luce nel suo cuore torna da Dio, l’origine di ogni sorta di luce.