Ago 11, 2018 12:44 CET
  • Iraniani Famosi (65): Sohravardì (p.7)

Anche oggi si parla di uno dei più grandi filosofi della storia umana, ovvero Sohravardì.

Gentili ascoltatori, nel corso delle puntate precedenti vi abbiamo parlato dei dati biografici di Sohravardì, il grande filosofo e mistico persiano del 12esimo secolo che fu l’ideatore dell’Ishraq, una teoria filosofica che basandosi sull’Islam e la tradizione platonica e persiana pre-islamica, insegna come scoprire e come avvicinarsi alla verità.

Sohravardì nacque nel 549 dell’egira e si spense nel 587, all’età di 38 anni con la congiura dei capi religiosi di Aleppo che strapparono a Saladino l’ordine della sua esecuzione.

Abbiamo detto che l’esito della breve ma generosa vita di Sohravardì furono numerose opere, trattati e parabole che secondo i ricercatori ci mostrano il vero pensiero di questo filosofo. L’uso abbondante di parabole e racconti da parte di Sohravardì influenzò notevolmente anche la letteratura persiana ed ispirò grandi che passarono alla storia come Attar, Rumì e Hafez.

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Nella puntata precedente abbiamo parlato del prestigioso e misterioso saggio “Aghl-e-Sorkh” (Ragione Rossa).

Questo saggio gnostico ha la forma di una parabola piena di simboli, segreti e metafore. Secondo gli studiosi del filosofo, alla fine di quest’opera, raccontata dagli uccelli, Sohravardì arriva ad enunciare il fulcro del suo pensiero gnostico e a presentare “la via della salvezza”.

Aghl-e-Sorkh, Ragione Rossa, ha due protagonisti: un avvoltoio ed un anziano dai capelli e dalla pelle rossa; l’avvoltoio, l’animale da compagnìa per eccellenza dei sultani del passato, in questa storia e’ il simbolo dell’essere umano; l’uomo che arrivando sulla terra ed entrando nella vita mondana e’ rimasto lontano dalla sua origine e che ha al suo interno l’anima leggera e volatile che vorebbe lasciare la prigione del corpo e tornare da dove e’ venuta.

L’avvoltoio della storia di Sohravardì racconta che ricorda bene che un giorno aveva voglia di volare ma che poi le sue ali sono state legate, e che i suoi occhi sono stati bendati e che per questo e’ come se avesse dimenticato di essere un uccello e di appartenere ad un regno sublime e migliore della terra, il cielo. Da quanto era piccolo i suoi occhi eran chiusi e non ricorda più nulla del suo nido; lui cammina in un deserto buio fino a quando incontra l’anziano dalla pelle e dai capelli rossi che inizia a dargli dei consigli.

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L’anziano nella storia e’ il simbolo del senno e della ragione umana. L’anziano non è bianco come la luce e non e’ nemmeno nero come il male e le tenebre; lui è rosso; secondo gli antichi, questo colore era esito del miscuglio del bianco e del nero. Quando Sohravardì parla della ragione rossa, intende la ragione dell’uomo normale; un qualcosa che ha il bianco per via della sua origine pura, ma che si tinge anche di nero, visto che ha a che fare con la vita mondana ed e’ ingabbiata nella prigione del corpo. E così, la ragione bianca, collocata nella gabbia nera del corpo, assume un nuovo colore, quello rosso ed e’ così che Sohravardì definisce rossa la ragione umana.

Nel racconto l’anziano si presenta come una persona che sà tutto e dice di aver vissuto tantissimo e di aver trascorso gran parte della propria esistenza in fondo ad un pozzo buio; probabilmente questo mondo e’ quel pozzo.

L’anziano riesce a rispondere a tutte le domande che l’avvoltoio gli fà e per aiutarlo gli consiglia di fare un viaggio irto di pericoli. 

L’avvoltoio chiede all’anziano delle sue origini. “Vengo dal monte Qaf, ed anhe il tuo nido era lì, ma tu non te lo ricordi”.

L’avvoltoio chiese ancora: “Cosa cerchi quì?”.

“Sono un viaggiatore che gira intorno al mondo per vedere le meraviglie”.

“Quali meraviglie hai visto?”, incalzò l’avvoltoio.

“Le meraviglie del mondo sono sette: primo il monte Qaf, che e’ la nostra patria. Secondo il diamante che illumina la notte, terzo l’albero di Tubà, quarto le dodici botteghe, quinto l’armatura di Davide, sesto la spada di Balark, settimo la sorgente della vita”.

L’avvoltoio chiede all’anziano di descrivergli, ad una ad una, ognuna di quelle sette meraviglie, ma oggi non possiamo dire con sicurezza cosa rappresentino queste cose, che sono chiaramente simboli di concetti astratti.

Cosa significheranno l’albero di Tubà, il monte Qaf, il numero 12 delle botteghe, oppure cosa rappresenti il diamante che illumina la notte.

Riflettendo sulle spiegazioni dell’anziano si ipotizza che l’albero di Tubà deve essere come il dio delle piante ed il monte Qaf, che si trova alla fine del mondo, e’ fatto di 11 montagne che si sovrastano. E’ come se l’anziano rosso della storia, volesse rispondere ai quesiti dell’avvoltoio, con quesiti e indovinelli ancora più complicati!

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Secondo l’anziano rosso che simboleggia la ragione umana, il diamante che può illuminare la notte si trova alla terza vetta del monte Qaf; il vecchio spiega che tale diamante prende la sua luce dall’albero Tubà.

Nelle 12 botteghe invece ci sono sette maestri con i loro allievi che effettuano la tessitura delle stoffe regali; con quelle stoffe hanno legato pure le ali dell’avvoltoio che per questo non può volare; le stoffe avvolte insieme formano l’armatura di Davide.

L’armatura di Davide invece e’ un’armatura di tanti strati che è molto forte e che può essere trafitta solo dalla spada di Belark. Questa spada stà solo in mano al guardiano o al boia, colui che conosce la scadenza di ogni armatura e che la distrugge al momento giusto. Il problema e’ che quando il boia apre l’armatura di qualcuno, ferisce anche la persona stessa e quindi l’unica via per salvarsi e’ immergersi nella sorgente della vita.

Questa e’ la via della salvezza per l’avvoltoio che così può salvarsi e volare felice verso il cielo.