Iraniani Famosi (164): I Bukhtishu (p.2)
Cari amici oggi vi parleremo ancora della famosa famiglia di medici persiani dei Bukhtishu.
Nella puntata precedente vi abbiamo parlato della famiglia dei Bukhtishu, una stirpe di medici per 6 generazioni che operava in Persia, presso Jondishapur, ed abbiamo parlato del primo grande membro, Jirjis o Giorgio. Dopo di lui fu di grande importanza Bakhtīshūʿ II, il figlio di Jurjīs b. Bakhtīshūʿ e padre di Jibrāʾīl b. Bakhtīshūʿ. Fu lasciato ad occuparsi dell'ospedale di Jundishapur quando suo padre fu convocato per curare disturbi di stomaco del califfo al-Mansūr. Jurjīs non volle che il figlio andasse a Baghdad quando egli decise di tornare a casa e offrì in cambio l'arrivo in sua vece del suo discepolo. Nonostante ciò, Bakhtīshūʿ II fu più tardi convocato a Baghdad per curare i disturbi fisici del califfo al-Hādī, che era gravemente ammalato. Non fu in grado di andare a soggiornare a Baghdad fino al 787, quando il califfo Hārūn al-Rashīd subì attacchi violenti di emicrania. Riuscì a guarire con successo Hārūn al-Rashīd e questi, in segno di gratitudine, lo nominò medico in capo, un posto che egli mantenne fino alla sua morte nell'801.
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Altrimenti detto Jibrīl b. Bakhtīshūʿ, - oppure Jibrāʾīl ibn Bukhtyishu, o Jibrāʾīl b. Bakhtishu - fu il figlio di Bakhtīshūʿ II, e servì sotto i califfi di Baghdad dal 787 fino alla sua morte nell'801. Nel 791, Bakhtīshūʿ II raccomandò Jibrāʾīl come medico a Jaʿfar il Barmecide, fratello di latte e vizir del califfo Hārūn al-Rashīd. Malgrado tale segnalazione, Jabrāʾīl non succedette al padre fino all'805, dopo che ebbe successo nella cura di una delle schiave di Hārūn al-Rashīd, guadagnandosi per questo la riconoscenza del Califfo. All'epoca in cui Jibrāʾīl era a Baghdad, suggerì a Hārūn al-Rashīd di far costruire il suo primo ospedale (maristan). Il nosocomio e l'annesso osservatorio furono costruiti avendo come modello quanto era stato realizzato a Jundishāpūr, dove Jibrāʾīl aveva studiato medicina e aveva operato come direttore. Jibrāʾīl servì come direttore anche nell'ospedale di al-Rashīd, cui il califfo dette il proprio nome. I medici della corte califfale godevano di ottimo trattamento e di grande considerazione, come ricordato dall'aneddoto in cui Hārūn al-Rashīd usò Jibrāʾīl per tentare di umiliare il suo vizir Yaḥyā al-Barmakī in un'occasione in cui Yaḥyā era entrato alla presenza del califfo senza chiedere il suo permesso. In una raccolta di prosa, Abū Manṣūr al-Thaʿālibī riporta una storia che aveva sentito da al-Babbagha: « “Bakhtīshūʿ ibn Jibrāʾīl riporta da suo padre… Quindi al-Rashīd si girò verso di me e disse: «‘Jibrāʾīl, c'è qualcuno che entri prima di te, senza il tuo permesso, nella tua stessa casa?’ Io risposi: ‘No, nessuno potrebbe sperare ciò.’ Egli riprese:: ‘Così, quel che invece capita a noi è che la gente entra qui senza permesso?” » Dopo questo scambio di battute, Yaḥyā abilmente ricordò a Hārūn al-Rashīd che lui stesso lo aveva autorizzato a presentarsi al suo cospetto senza chiedere il permesso di entrare, chiedendo al califfo se c'era quindi stato un cambiamento nell'etichetta di corte di cui egli, senza colpa, non era venuto a conoscenza. A prescindere dall'episodio, Jibrāʾīl evidentemente godeva del privilegio di sedere come nadīm (cortigiano e commensale) alla tavola del califfo e di essere con lui in una confidenza non concessa a molti altri astanti. Durante la fase finale della malattia di Hārūn al-Rashīd, Jibrāʾīl cadde in disgrazia per l'evidente impossibilità di porre un rimedio a quel morbo e fu condannato a morte. Fu salvato dall'esecuzione da al-Faḍl b. al-Rabīʿ e in seguito divenne il medico personale di al-Amīn. Dopo la salita al potere di al-Maʾmūn, Jibrāʾīl ancora una volta dovette fronteggiare il pericolo della sua incarcerazione, ma fu in grado di curare al-Ḥasan b. Saḥl e per questo fu rilasciato in libertà nell'817. Tre anni più tardi fu sostituito dal genero Mikhāʾīl, ma fu di nuovo richiamato a corte nell'827, quando Mikhāʾīl non fu in condizione di guarire il Califfo. Morì col favore califfale tra l'827 e l'829. Essendo cristiano fu sepolto nel Monastero (dayr) di S. Sergio a Ctesifonte (oggi al-Madāʾin, presso Baghdad), sulla riva sinistra del fiume Tigri.