Nov 25, 2023 07:12 CET

LONDRA – Dopo l’Inghilterra anche gli Stati Uniti vogliono inviare all’armata dell’Ucraina le controverse munizioni perforanti all’uranio impoverito.

Lo scorso 12 settembre, un giornale americano - citando quattro funzionari di questo paese - ha dato la notizia secondo cui l’amministrazione Biden ha ormai approvato la spedizione all’armata di Zelensky di missili a lungo raggio pieni di bombe a grappolo, dando a Kiev la capacità di causare – a loro avviso -, danni significativi più in profondità all'interno del territorio sotto il controllo dell’esercito russo. Questo mentre gli americani considerano questi armamenti altamente non convenzionali, in altre parole, proibite. In questo programma vi parleremo dell’ennesima prova dell’ipocrisia degli Stati Uniti. Restate con noi!

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La rivelazione del New York Times secondo cui tra le forniture militari statunitensi all’Ucraina potrebbero arrivare anche le famigerate – e vietate – bombe a grappolo, ha provocato (e continua a farlo) seri imbarazzi sia alla Casa Bianca. Il consigliere per la Sicurezza nazionale USA, Jack Sullivan, dopo l’imbarazzo manifestato da Germania e Francia, gli appelli di Onu, Human Right Watch e Amnesty International, ha detto che il governo americano riconosce che le munizioni a grappolo creano rischi per i civili, Kiev, “però, si è impegnata per iscritto a minimizzarli“. La convenzione ONU sulle bombe a grappolo è un trattato internazionale che proibisce l’uso di tali armi esplosive, il cui effetto è la dispersione su una certa area di submunizioni (“bomblets”).

La convenzione è stata adottata il 30 maggio 2008 a Dublino mentre l’apertura alle firme degli stati sottoscrittori è avvenuta il 3 dicembre 2008 a Oslo. La Convenzione è entrata in vigore nel 2010. A settembre 2013, la convenzione risulta ratificata da 84 Paesi, tra cui l’Italia (21 settembre 2011). Alcuni stati produttori di munizioni non hanno firmato la convenzione, tra questi risultano esserci Stati Uniti, Russia, Cina, India, Israele, Pakistan e Brasile.Tra il 2003 e il 2006 circa 13mila bombe a grappolo statunitensi e inglesi sono state sganciate sull’Iraq.

Le denunce erano tornate alla ribalta mondiale con la guerra in Siria (in questo caso però ampiamente sostenute dagli Usa e dalla stampa occidentale). Già dal 2012 Human Right Watch affermava di temere che il regime siriano possa utilizzare le cluster bomb, le micidiali ‘bombe a grappolo’, contro i covi dei ribelli tra le montagne della provincia di Hama. Nel 2015 sempre Human Right Watch (Hrw) ha denunciato che l’offensiva militare di Russia e governo di Damasco in corso da fine settembre in Siria “ha incluso un ampio uso” di bombe e altre “munizioni a grappolo” in violazione della risoluzione 2139 dell’Onu.

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Nel 2018 Amnesty International denunciava che il governo siriano aveva intensificato gli attacchi illegali contro la popolazione civile del governatorato di Idlib utilizzando bombe a grappolo, vietate dal diritto internazionale,

In Italia la campagna contro le bombe a grappolo, alcuni anni fa aveva individuato una fabbrica di produzione dei micidiali ordigni. La Simmel Difesa di Colleferro (Roma) nel 2007 era finita nel mirino dei movimenti antimilitaristi con l’accusa di produrre le micidiali bombe a grappolo o cluster bombs. L’azienda, passata nel 2007 dalla Fiat alla società inglese Chemring group (gruppo Nexter) per 77 milioni di euro, ha però negato di produrle. Sulla home page del sito spiega che pur avendo la capacità di produrre questo tipo di munizioni rispettando i requisiti di sicurezza internazionale “non ha mai prodotto né tantomeno esportato suddette tipologie di munizionamento”. Ma da quando si erano manifestate la proteste contro la Simmel, (anche con sit in davanti ai cancelli della fabbrica e carovana di macchine sul territorio)  il catalogo delle armi risulta oscurato: impossibile leggere la lista delle armi in produzione. Nel 2021 La Simmel Difesa spa ha fatturato 52 milioni di euro.

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