Feb 26, 2024 06:25 CET

Nella puntata precedente vi abbiamo parlato di Ilaria Salis, 39enne italiana, che è stata arrestata nell’11 febbraio 2023 in Ungheria, con l’accusa di aver aggredito due estremisti di destra.

Le sue immagini in ceppi e manette in un tribunale di Budapest, diffuse un anno dopo, hanno fatto parlare finalmente i media italiani. La vicenda della Ilaria, attualmente in un carcere di massima sicurezza ungherese, coinvolge molti, dall’ambasciatore italiano a Budapest alle autorità del governo di Roma, che sono stati criticati dal padre della ragazza, Roberto, secondo il quale “loro conoscevano le condizioni della mia figlia in Ungheria e non hanno fatto nulla”. Di questo parleremo anche oggi. 

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Due sono gli aspetti da considerare nella vicenda giudiziaria, collocata per metà nell’assurdo giuridico e nell’assenza di equilibrio nell’operato della polizia giudiziaria e magistratura ungheresi, e l’altro di carattere normativo, afferente alle modalità della detenzione della professoressa italiana. E’ bene dire subito che Ilaria Salis, professoressa milanese, è accusata di aver partecipato, insieme ad altri, alle contestazioni che vi furono contro un’adunata nazista nel centro di Budapest dell’11 Febbraio, quando i nazi festeggiano l’attacco suicida della Wehrmacht e delle SS contro l’Armata Rossa Sovietica. Ilaria venne arrestata ed oggi rischia 24 anni di carcere per un reato che dovrebbe essere derubricato come lesioni lievi, vista la ridicola entità della prognosi (5-8 giorni) di dimissione degli sfortunati nazi, che infatti non hanno sporto denuncia. Non c’è codice penale, ovunque nel mondo, che non misuri sull’entità dell’offesa arrecata l’imputazione ad essa relativa. Se una prognosi di 5-8 giorni, riscontrabile anche come conseguenza di un ceffone, dovesse vedere regolarmente l’imputazione di tentato omicidio, saremmo alla follia planetaria. Quella riferita alla vicenda di Ilaria è una relazione abnorme e dunque infondata tra reato e pena prevista, che si spiega solo con l’intenzione da parte della autorità ungheresi, particolarmente sensibili alle ragioni dei nazisti, di politicizzare detenzione e sentenza. La sua detenzione, come denunciato dal padre e dai suoi amici, è vissuta in condizioni disumane e degradanti, in aperta violazione di tutte le norme sulla detenzione presenti nella giurisprudenza internazionale. Non solo né lei né il collegio di difesa hanno avuto accesso agli atti debitamente tradotti che mettono in condizioni di predisporre una difesa efficace e non rituale, ma le stesse condizioni della detenzione di Ilaria sono uno scandalo giuridico ed umanitario.

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I famigliari e gli avvocati di Salis contestano anche la pena a cui potrebbe essere sottoposta in futuro. Salis potrebbe ricevere una condanna fino a 16 anni di carcere per un reato che in Italia di solito viene punito con 4 anni; inoltre le lesioni riportate dalle persone aggredite sono guarite in pochi giorni. Salis ha già ricevuto una proposta di patteggiamento a 11 anni di carcere che ha rifiutato, dicendo di non aver partecipato alle aggressioni. Una pena così alta non è data solo dalle leggi più dure dell’Ungheria in questo campo, ma anche perché le autorità ungheresi aggiungono all’accusa di lesioni anche due aggravanti, ossia quelle di «aver potuto pregiudicare la vita della vittima e di aver commesso il reato all’interno di un’organizzazione criminale».

Le autorità sostengono che le aggressioni fossero state pianificate da Hammerbande, un gruppo fondato a Lipsia, in Germania, nel 2017 che ha l’esplicita «finalità di attaccare e assaltare i militanti fascisti o di ideologia nazista». I legali di Salis affermano che non risulta fra i membri dell’organizzazione, ma secondo l’accusa avrebbe partecipato a quelle aggressioni sapendo della sua esistenza. In un’intervista a Repubblica suo padre ha detto che Salis non ha mai parlato alla famiglia dell’organizzazione. Attraverso gli avvocati hanno chiesto per quattro volte che la figlia potesse attendere il processo in Italia, ma le richieste sono state respinte per rischio di fuga. All’inizio di dicembre il sostituto procuratore generale di Milano Cuno Tarfusser ha negato l’estradizione in Ungheria di Gabriele Marchesi, un 23enne accusato degli stessi reati di Salis. Fra le motivazioni è stata citata anche la lettera in cui Salis descriveva le sue condizioni di detenzione e la natura politica dell’indagine ungherese.

 

 

 

 

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