Donne in Occidente (14)
Amici come ben ricorderete nella puntata precedente abbiamo esaminato la condizione disumana e degradante delle donne detenute nelle prigioni dei paesi europei e americani come un’altra evidente prova della violazione dei diritti delle donne in Occidente.
Anche oggi proseguiremo questa tematica importante e poco discussa ovvero la violazione dei diritti delle donne all’interno del sistema carcerario occidentale.
Infatti la prigione ormai ha perso di vista il suo reale scopo, ovvero la riabilitazione del detenuto. Le donne non ricevono un aiuto adeguato durante il loro periodo detentivo, al contrario sono costrette a subire diverse forme di violenza, spesso impunite.
Negli Usa in particolare il sistema carcerario si approfitta della fragilità e della vulnerabilità delle detenute americane, dal momento dell’entrata in carcere diventanodonne invisibili agli occhi della comunità.
Nella maggioranza dei casi la donna entra in carcere per reati minori, come ad esempio spaccio o traffico di droga. Le donne americane – appartenenti molto spesso a minoranze etniche – sono portate a commettere atti illegali a causa delle condizioni difficili in cui sono costrette a vivere.
Come ha già spiegato anche la nostra esperta di famiglia, la signora Akhoundan, nell’arco degli ultimi quarant’anni il tasso di incarcerazione femminile è cresciuto del 700% negli Usa: uno dei motivi che ha contribuito a una tale crescita è legato a delle caratteristiche tipiche della società americana, che tende a impedire alledonne un completo inserimento all’interno del tessuto sociale del paese.
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Una famosa abolizionista americana, Julia Sudbury, ha espresso il suo giudizio in merito a questa preoccupante tendenza: “la povertà, il razzismo, la violenza domestica e la dipendenza, a volte, sono fattori che sommati contribuiscono a creare un circolo vizioso di sopravvivenza, criminalizzazione e ripetuta incarcerazione di cui le donne sono le principali vittime.”
Secondo le sue parole, quindi, l’incarcerazione di massa femminile è strettamente legata a ragioni socioeconomiche.
Solitamente le donne americane – in maggioranza quelle di appartenenza alla comunità afro-americana e ispanica – hanno accesso a poche opportunità lavorative, non possedendo le necessarie abilità richieste dal mercato del lavoro. Questa carenza è dovuta principalmente alla mancata possibilità di frequentare la scuola nel corso della loro infanzia ed adolescenza. Difatti molto spesso le detenute americane hanno alle spalle un’infanzia difficile e segnata da abusi sessuali e fisici avvenuti all’interno dell’ambiente domestico di appartenenza. Come rivelato dalla Correctional Association of New York5 , l’82% delle detenute americane sono state vittime di violenza fisica e sessuale da bambine; inoltre tre quarti di esse sono state anche vittime di violenza da parte del partner nel corso della loro vita.
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Nelle carceri americane come anche abbiamo già detto le donne vengono trattate in modo davvero disumano. Da una parte le detenute soffrono della mancanza delle strutture sane, sicure e dignitose all’interno dei prigioni, dall’altra non possono avere facilmente rapporti con i propri famigliari, figli e con la comunità in generale, tutto mentre mantenere le relazioni interpersonali è molto fondamentale nella vita di una donna. Di solito loro vengono trasferite in prigioni lontani e così raramente riescono a incontrare I loro famigliari.
La situazione è ancora peggiore per le donne incinte o quelle che hanno piccogli figli.
Il quotidiano Americano Hoffington Posto in un articolo scioccante riferendosi alla un’assurda pratica ancora presente negli Stati Uniti a danno delle donne carcerate rivela che le detenute durante il travaglio e fino al parto vengono incatenata con le manette alla barella
La detenuta Jacqueline è un esempio che racconta delle violenze subite nel 2012 subito dopo un parto cesareo d’urgenza. Le guardie le legarono una grossa catena attorno al ventre, alla quale erano attaccate le manette, incuranti del taglio appena suturato provocandole dolori lancinanti. Ancora a distanza di anni Jacqueline racconta “Era come se mi stessero riaprendo la ferita”.
Anche la storia raccontata da Melissa Hall, che nel 2013, a 25 anni, si trovava nella prigione della contea di Milwakee è molto agghiacciante. Le è entrata in travaglio, come racconta un articolo su Cosmopolitan. Il modo in cui ha partorito era oltre i limiti dei diritti umani. Perché Melissa ha dovuto partorire in catene. Ha avuto il braccio e la caviglia destra assicurate alla barella con delle manette.
Michelle è una altra detenuta che racconta di essere stata ammanettata nel momento del parto e per 18 ore.
Tutto mentre partorire in manette è contro tutte le convenzioni internazionali.
Ma la domanda che ci si pone è che come possa una donna in travaglio o una puerpera da poche ore sfuggire alla propria condanna. Era proprio necessario incatenare questa donna – come molte altre – alla barella?